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Il re dell'arena : il gioco dei soggetti

Il re dell'arena : il gioco dei soggetti



Conviene allargare il campo d’osservazione, se si vuol cogliere l’intero gioco dei soggetti, e nel suo ambito il fissarsi del momento a cui il discorso audiovisivo è destinato e a cui è delegata l’interpretazione; conviene fare i conti anche con altri procedimenti cinematografici, se si vuole esplorare fino in fondo la maniera in cui lungo l’arco di un film e da film a film si suggerisce un tu.
Il nostro primo esempio sarà la sequenza iniziale de Il re dell’arena:
Il brano parte con una ragazza che risvegliandosi dal sonno si rivolge alla m.d.p. e si mette a recitare una filastrocca; siamo in un dormitorio, e una serie di ragazze a turno, ora guardando la m.d.p., ora guardandosi tra di loro, continuano la poesiola fino a trasformarla in una canzone; sul ritmo della musica inizia una danza geometrica, che attraverso delle scale a chiocciola si trasferisce dalla camerata ai bordi di una piscina; una visione dall’alto coglie i corpi nell’acqua che costituiscono una figurazione del tutto astratta; fuori dalla piscina, lungo uno scivolo, le ragazze vanno ad asciugarsi e a cambiarsi dietro a dei paraventi trasparenti; quando la m.d.p. cerca di aggirare l’ostacolo, le ragazze fuggono lanciando delle occhiatacce; entra la direttrice del collegio, e impone il silenzio.
È una sequenza che approfitta delle liberta che caratterizzano il genere, l’epoca, il coreografo, per aprirsi a degli strani andamenti; essa sembra soprattutto decisa ad operare, più che sulla pura emergenza di un enunciatario, sulle possibili dislocazioni che esso può assumere.
Dal momento in cui entra in gioco il punto di vista, lo sguardo che modella la scena evidenzia la presenza, assieme a ciò che viene mostrato, anche di chi mostra e di colui al quale si mostra1: abbiamo allora un enunciatore, un enunciatario e il discorso su cui essi operano; una terna di elementi che corrispondono al gesto di appropriazione grazie a cui si vede – un io –, al gesto di destinazione con cui si porta a vedere – un tu –, e al che cosa o al chi è visto – un egli o un esso –.
Per quanto riguarda la natura degli elementi della terna,
- da un lato conviene precisare che si tratta di categorie astratte, che designano un’articolazione fondamentale del testo filmico e non una realtà coinvolta momentaneamente;
- dall’altro lato conviene ricordare che si tratta di tracce che rimandano ai meccanismi costitutivi del testo filmico, e perciò di spazi che solo l’enunciazione ha aperto, ma che aprendo ha reso in ogni caso disponibili.
Proprio una tale congiunzione di generalità e di necessità fa si che questi elementi risultino perfettamente solidali: potendoci sempre essere, e dovendoci sempre essere, essi non si danno mai l’uno senza gli altri, e dunque si danno tutti insieme.
Ciò significa che anche quando li si vuole disporre su fronti diversi, è scorretto scioglierli dalla relazione che li lega: sebbene enunciatore ed enunciatario rilevino dello sguardo, e l’enunciato corrisponde ai contorni della scena, non si dà sguardo senza scena, né scena senza sguardo.
Così, il punto di vista è un qualcosa in cui inevitabilmente confluiscono il punto da cui si osserva, il punto attraverso cui si mostra, e il punto che si vede: ciò significa soprattutto che diventa caratterizzante non la presenza, di per sé obbligatoria, di questo o quell’elemento, ma la forma del rapporto che esso instaura con gli altri, e quindi la posizione che viene ad assumere nell’insieme.
È a partire da queste osservazioni che possiamo impostare una tipologia delle proposte ricorrenti nel film, mettendo a fuoco soprattutto i destini cui va incontro l’enunciatario.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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