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Lo sguardo in macchina al cinema - due esempi -



Affrontiamo adesso più direttamente la seconda parte del problema da cui siamo partiti, e cioè l’interdizione che accompagnerebbe lo sguardo in macchina e gli altri momenti dell’interpellazione, cercando di spiegare un simile tabù in rapporto al disegno che abbiamo cominciato a tracciare: se l’occhiata alla cinepresa e allo spettatore è un caso di enunciazione enunciata, perché il testo filmico tende ad evitarla o ad espugnarla?
Ci avvicineremo alla risposta attraverso due esempi, in cui la rappresentazione rinvia per un attimo ai propri parametri di base, grazie ad un implicito cenno di intesa, per poi continuare dritta per la propria strada; tuttavia nei nostri esempi questo alternarsi di confessione e di reticenza assume due andamenti diversi.
- The Great Train Robbery, dove il capobanda in P.P., con gli occhi agli spettatori, osserva, prende la mira, e spara. Lo sguardo in macchina funziona come uno choc: l’occhiata che corre dallo schermo alla sala è associata a degli spari ed è destinata anch’essa a colpire lo spettatore; in cambio la sua collocazione è del tutto marginale, non soltanto al di fuori di quanto preme di più, ma anche al di fuori dei limiti del testo. Tale contrasto tra la clamorosità con cui viene cercato un contatto con lo spettatore e la posizione defilata in cui viene confinato l’incontro può forse lasciar perplessi: questo conflitto ci suggerisce però un dato assai importante, e cioè che in un cinema che sta imboccando la strada della narrazione gli spazi delegati ai faccia a faccia tendono a venir meno e ad essere sostituiti da forme più mediate di coinvolgimento: fatta salva l’esigenza di catturare chi segue il film ricordandogli la sua natura di spettatore, lo sguardo in macchina può essere circoscritto a profitto di sguardi totalmente interni alla scena altrettanto capaci di calamitare l’attenzione e ancora più abili nel farla circolare nel cerchio magico della finzione; è per questo che, quando il dispositivo fabulatore sarà ben collaudato, certe emozioni andranno incontro alla rimozione, e l’enunciato potrà vantare una presenza soltanto tacita.
- Vent d’est, dove un giovane in P.P e poi in Tot., di faccia, guardando dritto di fronte a sé, magnifica il luogo in cui si trova e invita gli spettatori a seguirlo, mentre una voce fuori campo, anch’essa rivolta a chi segue il film, riprende in tono ironico le sue parole e dimostra l’assurdità della sua richiesta. Qui è ben diversa la situazione proposta: qui lo sguardo in macchina è messo in evidenza, ma per essere ironizzato e rimproverato, smontato nelle sue pretese e nei suoi effetti da un altro procedimento dell’interpellazione, dalla voce off.
Da una parte abbiamo un personaggio che con gli occhi rivolti allo spettatore parla di sé e di chi gli sta davanti: c’è dunque il tentativo esplicito di avviare il dialogo, attraverso cui rompere l’isolamento dei convenuti e assicurare loro un incontro autentico;
Dall’altra parte abbiamo una voce fuori campo che sovrapponendosi al personaggio ne anticipa e ne esplicita le battute, quasi a volerne evidenziare la scarsa forza di convincimento o la scarsa presa sulle cose, e nello stesso tempo ne mette in dubbio la buona fede: dunque il tentativo di dialogo si esaurisce sul nascere, bloccato dalla duplice accusa d’essere insufficiente rispetto al necessario e deviante rispetto alla realtà.
Allora lo sguardo in macchina, che costituisce un po’ il baricentro dell’azione, si trova ad essere il portatore di una promessa mancata: nel medesimo momento in cui fa entrare in campo una procedura ormai estranea alla tradizione della fiction, con la certezza di rovesciarne le misure, finisce anch’esso sotto accusa, messovi da una voce che denuncia il sopravvivere di connivenze con il vecchio regime e che sostiene di essere la sola in grado di inaugurare un discorso veramente altro.La ricognizione appena effettuata mostra bene come un procedimento deciso pur sempre a mettere in luce le ragioni dell’enunciazione possa assumere valori diversi; ciò avviene in entrambi i casi sullo sfondo di un medesimo territorio, rappresentato dalla narrativa cinematografica. Percepita ora come meta da raggiungere, ora come una gabbia da cui evadere, essa si presenta infatti tanto su di un versante quanto sull’altro come un riscontro con cui è doveroso fare i conti, e insieme come un possibile vincolo; il fatto ci suggerisce che c’è sempre un secondo quadro in cui ogni mossa del film si inscrive: oltre al sistema delle persone, degli spazi e dei tempi fissato dall’enunciazione, c’è un intorno costituito dal testo nella sua completezza e dai testi – cinematografici, ma anche di altro tipo – che gli stanno a ridosso, con le loro norme di comportamento e con le loro misure obbligate.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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