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I promessi sposi, A. Manzoni




L’opera più importante di Manzoni è sicuramente i Promessi Sposi. Nell’Introduzione, si stabilisce il patto narrativo, cioè la finzione, la convenzione secondo la quale verrà scritto il romanzo. Il narratore finge di aver trovato un manoscritto del Seicento che racconta una bella storia ma in un linguaggio illeggibile per via dei difetti della prosa barocca. Desideroso di far conoscere la vicenda, decide di riscriverla. Di conseguenza si pongono due narratori, l’autore anonimo del manoscritto e colui che lo trascrive, creando così uno sdoppiamento di voci. L’anonimo viene chiamato in causa trentuno volte per attribuirgli commenti sentenziosi o considerazioni dettate dal senso comune. In questi casi il narratore allontana da sé il racconto perché dispone di una seconda voce narrante costituita dall’anonimo con cui dialoga e ironizza, prendendo le distanze dai suoi giudizi. Il narratore poi sa molto di più di quanto non ci sia nel manoscritto e rende conto della sua conoscenza, attraverso testimonianze e documenti. Abbiamo così tre personaggi intorno al romanzo: un narratore che racconterà in prima persona e si dice non responsabile delle vicende dei personaggi ma garante della loro veridicità, un autore anonimo ed il lettore.
L’elemento che si impone nello scritto è la minuzia, la definizione precisa del particolare. Il narratore risulta onnisciente e mantiene una sua estraneità, un suo spazio giudicante. Per cui, nel raccontare, commenta e compare in ogni pagina del romanzo. Accade anche che il narratore dice quello che i protagonisti provano e quello che avrebbero dovuto e potuto provare. Quando poi compare un nuovo personaggio, il narratore racconta sempre la sua storia precedente all’apparizione nel racconto e a volte, come per la monaca di Monza e l’Innominato, l’interruzione assume un’autonomia narrativa. Inoltre, a partire dal IX capitolo, quando Renzo e Lucia prendono strade diverse, la narrazione segue ora l’uno ora l’altro, ritornando ogni volta al momento in cui il personaggio è stato lasciato. Così il narratore rinuncia a qualsiasi effetto sorpresa.
Manzoni definisce il romanzo storico come un componimento misto di storia e invenzione. Nei Promessi Sposi, i fatti sono inventati e i personaggi verosimili. La ricostruzione storica non rimane sullo sfondo , non si limita ad intrecciarsi con i fatti privati dei personaggi, ma ha una sua autonomia. I fatti narrati nei primi otto capitoli dei Promessi Sposi si svolge tra la sera del 7 e la notte del 10 novembre 1628; dal IX al XXVII si racconta circa un anno di storia; dal XXVIII al XXXVII il ritmo è vario. Infatti le vicende narrate nei capp. XXVIII – XXXII si estendono per due anni, mentre dal XXXIII il susseguirsi dei fatti è più lento e segue per lunghi tratti le giornate di Renzo. La scelta è dettata da una volontà di realismo. Pertanto queste sequenze hanno un andamento lineare, nel senso che non si hanno salti temporali nella narrazione. Per quanto riguarda l’uso dei tempi verbali, il narratore racconta al passato, ma sposta il commento al presente, le considerazioni che possono far parte dell’esperienza dei suoi lettori, la descrizione del luogo, il confronto tra l’epoca sua e del suo pubblico e quella del Seicento. In altre parole, distingue, anche con l’uso diverso dei tempi verbali, la narrazione dal commento. In ogni narrazione c’è un occhio che vede e descrive. Non sempre è l’occhio del narratore, per cui la prospettiva dalla quale il lettore vede luoghi, ambienti, cose, personaggi può a volte non essere la stessa della voce che racconta. Tuttavia, nei Promessi Sposi, prevale decisamente la visione del narratore e la descrizione dello spazio è filtrata dalla sua percezione e dalla sua conoscenza. Anche la descrizione non si limita a quello che l’occhio può vedere, ma si allarga a dare informazioni da una prospettiva esterna, onnisciente, più ampia di quella realisticamente ipotizzabile.

Tratto da CONTRORIFORMA E SECONDO 800 IN LETTERATURA di Gabriella Galbiati
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