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Bruno De Marchi, la critica come espressività della cultura


Nel suo saggio, dove la logica degli esempi cinematografici avvaloranti è assente, ciò che colpisce è la volontà di identificare un punto fermo nella definizione generica di critica come momento espressivo della cultura. Egli procede ad identificare nozioni correlate a quella della critica almeno su tre fronti:
1) l’oggetto primario di cui la critica si occupa, cioè la nozione di testo. Il testo viene definito come sede ottattiva dell’incontro tra autore e lettore, circuito del desiderio, convergenza oggettiva e feticistica, campo edonistico. Il tessuto anomalo e irregolare della comunicazione espressiva è ciò che porta a una definizione della critica come re-inaugurazione del testo; per cui è possibile affermare che non esiste il senso autentico di un’opera e che non esiste l’autorità dell’autore.
2) l’insieme del sistema della cultura entro cui si colloca istituzionalmente la critica. Si parte dalla constatazione che se indubbiamente esiste un ruolo critico non esistono invece i critici di ruolo; per cui si può affermare che il ruolo del critico è soltanto una delle tipologie dell’uomo di cultura.
3) la funzione da intermediario tra fruitore e film svolto dalla critica, cioè la sua funzione comunicativa. È opportuno ricordare che lo stesso cinema funziona, oltre che come sistema espressivo, come una forma di comunicazione; in questo senso esso è un meccanismo di persuasione.
L’indagine di De Marchi muove da due esigenze prioritarie: il desiderio di rendere conto di una fenomenologia molto complessa come quella che riguarda la critica a ogni suo livello, e l’intento di fornire una serie di ragioni per collocare l’istituzione critica in un quadro di intrinseca indispensabilità sociale. Sul piano della fenomenologia dell’interpretazione egli arriva ad una serie di utili precisazione: come quando a proposito dei ruoli del critico individua i due sotto-tipi del critico saggista – al quale corrisponde una funzione di discernimento teorico – e del critico storiografo – che è incaricato di continuare sulla strada, intrapresa dal saggista, di contestualizzazione del testo. O come quando offre una tripartizione empirica degli atteggiamenti principali con cui si producono discorsi sul cinema in: modi – tipici della stampa quotidiana – che considerano il sistema-cinema come uno degli elementi specifici ed autonomi che compongono la più vasta griglia che è la realtà stanziale; modi – tipici dei periodici di attualità – che lo considerano come fatto di costume; e modi – tipici dei periodici culturali – che lo considerano come problema di produzione artistica nell’accezione più lata del termine.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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