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Marcello Walter Bruno e il metacinema

Marcello Walter Bruno e il metacinema





Nel numero successivo della rivista, Bruno riassume i termini di un dibattito protrattosi per due anni con un lungo intervento in due parti.
Nella prima, La commedia degli equivoci, sintetizza le obiezioni mosse al suo metodo interpretativo e ribadisce i principi cardine: così come ogni opera narrativa è autoriflessivamente una metafora della lettura, ogni film è una metafora della visione; il film è una riflessione concettuale sull’ipnosi e sull’inganno. Il critico deve semplicemente ratificare l’esistente e non tentare di imporre i propri gusti allo svolgimento del film, come vorrebbe lo spettatore anarchico di Canova.
Il rifiuto del principio di non evidenza: sia l’impressionista che il paladino del Metodo, per cui il film è ciò che è e l’intertesto è l’invenzione castrante di qualche impotente, si lasciano ipnotizzare dai propri transfert difendendoli rigorosamente come modelli della cosa in sé.
Sottospecie dell’analista metodologico sono:
- gli stupratori comunisti: troppo impegnati a rispettare le norme di un sistema di pensiero eccessivamente rigido, scivola dalla condizione di contenutista gramsciano a quella di anarchico impressionista.
- gli stupratori semiotici: che praticano quasi la necrofilia nel loro cadaverizzare il film e farlo a pezzettini.
Nella seconda parte del suo intervento, Bruno attacca gli ultimi seguaci della teoria dell’autore, affermando che tutto il lavoro sui testi effettuato dalla decostruzione non mira a restituire il senso originario del messaggio, ma piuttosto a frammentarlo.
Ad un quadro statico in cui la palese evidenza del metacinema imponeva la ricerca di un nuovo metodo, Bruno sostituisce un concetto meno autoritario dell’interpretazione. La metacritica è un’idea di cinema che si organizza in teoria selvaggia; si tratta soprattutto di non avere il Metodo con cui stuprare l’opera, ma dei metodi segmentati secondo una mappa delle operazioni che l’opera può compiere. Non si tratta di dittatura del metodo, non si tratta di critica a-metologica(come direbbe Canova), ma si tratta di critica plurimetologica.
La metacritica diventa una euristica. Bisogna costruire uno spazio delle euristiche metacritiche che permetta di esprimere un albero delle mosse più ricco e creativo della banale applicazione repressiva di un metodo.
È vero che qui l’operazione non è più la verità dell’opera e diventa qui la sua verità superficiale, ma essa sembra comunque presentarsi alla nostra conoscenza secondo i modi della cosa in sé. Bruno rifiuta in definitiva il concetto di autoevidenza ma la sua difesa del concetto di operazione riposa appieno sulla tacita accettazione dell’operazione come cosa autoevidente.
Tra le difficoltà dell’impressionismo e l’ortodossia del metodo, la terza via non è più rappresentata da un’ermeneutica endogena la cui necessità è data come inevitabile, ma dalla possibilità di individuazione di operazioni differenti, da un gioco sempre aperto e mutevole di cambiamenti di punti di vista.
Lo scopo della proposta metacritica non sembra più quella di annullare gli scontri critici, ma di fornire un quadro teorico entro i quali renderli trasparenti.


Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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