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La semiologia nel cinema, Christian Metz



La svolta semiotica, la vertigine dei significati
Christian Metz introduce il discorso semiologico all’interno del mondo del cinema, gettando un ponte tra cinema e linguistica, e domandandosi se esso sia una lingua (cioè un sistema rigidamente formalizzato) o un linguaggio (un’aggregazione spontanea di segni), finendo per propendere per la seconda.
Definito il cinema come un linguaggio, si tratta di scoprirne il funzionamento. Metz lo fa nel 1971 con Langage et cinèma, nel quale indica, con eccessivo schematismo, come si possa dividere un film in quattro parti: testo, messaggio, codice e sistema singolare (cioè come è organizzato ciascun testo). Ci sono due tipi di codice: quello prettamente cinematografico, e quello comune ad altri mezzi di comunicazione. A sua volta il codice cinematografico si divide in codici generali (presenti in tutti i film, come inquadratura, fotografia, illuminazione) e codici particolari (che sono presenti solo in alcuni generi di film, come i grandi totali nei western o i particolari movimenti di macchina dei film espressionisti) e sono la firma del film.
Metz passa poi ad affrontare il tema della sintassi cinematografica, volendo tracciare un quadro della grande sintagmatica della colonna visiva, vale a dire delle concatenazioni codificate e significanti al livello delle grandi unità del film, quindi le sequenze. Individuerà dunque otto tipi sintagmatici:
- Inquadratura autonoma -> da cui derivano cinque sottotipi che sono il piano sequenziale, l’inserto soggettivo, l’inserto diegetico spostato, l’inserto non diegetico e l’inserto esplicativo.
- Sintagma parallelo
- Sintagma a graffa
- Sintagma descrittivo
- Sintagma alternante
- Scena
- Sequenze episodiche
- Sequenze ordinarie

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