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L’opera romantica


Il motore di quasi tutte le storie è la passione amorosa, che incrocia quella non meno possente per il potere e si scontra con le leggi della società e della storia. L’eccesso delle passioni brucia e devasta più che mai le famiglie, il potere pubblico dilania e minaccia gli affetti privati. La gelosia e la sete di vendetta sono derivati diretti e travolgenti delle passioni dominanti. Quasi tutti i tenori sono gelosissimi amanti e accusano il soprano di tradimento al minimo indizio. La vendetta è quasi sempre il braccio drammaturgico della inesorabilità del destino, la forma che nel melodramma romantico assume l’antico, insondabile potere del fato.
Il recitativo è sempre meno «secco» e l’«accompagnato» si apre spesso in veri e propri «ariosi», perché la rinnovata attenzione per la drammaturgia rilancia dialoghi, confronti ravvicinati tra personaggi e voci e, tra le forme chiuse, induce a prediligere quelle in cui si incrociano voci e personaggi diversi in duetti, terzetti, concertati. I compositori, del resto, puntano presto a uscire dagli schemi appena fissati e a elaborarne varianti più libere, più funzionali alla drammaturgia dell’esecuzione.
Cambiano anche le tipologie e i ruoli vocali. L’impeto e la violenza della passione d’amore nell’uomo non consentono più che a rappresentarla siano voci femminili o di castrati. L’innamorato diventa sempre più un tenore virile e con voce di petto e sempre maggiore spazio si prende il baritono, figura maschia per eccellenza, voce scura, centrale e naturale, mentre il basso si specializza in ruoli terrificanti, si fa simbolo di potere e superstizione, di morte e di spietatezza.

Tratto da DA MONTEVERDI A PUCCINI di Anna Bosetti
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