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Conclusione del procedimento amministrativo: provvedimento e accordi amministrativi

L’amministrazione conclude il procedimento emanando una decisione, termine usato per indicare i provvedimenti adottati a seguito di procedimenti amministrativi contenziosi, termine impiegato dal legislatore con riferimento a tutti i provvedimenti, poiché i procedimenti debbono consentire la partecipazione con gli interessati.

La fase decisoria

La fase decisoria è costituita da una serie di atti, da un atto proveniente da un unico organo che può essere monocratico, da un fatto come il silenzio ossia da un accordo. Poiché la fase decisoria consiste nell’emanazione di atti o deliberazioni preliminari determinativi del contenuto del provvedimento finale, s’assiste all’adozione da parte dell’organo di un atto che, per produrre effetti, deve essere esternato ad opera di un altro organo. L’atto del primo organo è determinativo del contenuto del provvedimento finale, ma non costitutivo degli effetti. Altro modello è la decisione su proposta, un atto di impulso procedimentale necessario perché il provvedimento finale possa essere emanato. L’organo ha sempre il potere di rifiutare l’adozione dell’atto finale, ma non può modificare il contenuto della proposta.

Il concerto è un istituto che si riscontra nelle relazioni tra organi dello stesso ente: l’autorità concertante elabora uno schema di provvedimento e lo trasmette all’autorità concertata, che si trova in posizione di parità rispetto alla prima, salvo il fatto che solo l’autorità concertante ha potere d’iniziativa. L’intesa è raggiunta tra enti differenti (es. tra Stato e Regione) ai quali tutti s’imputa l’effetto. Un’amministrazione deve chiedere l’intesa ad altra autorità, il cui consenso condiziona l’atto finale. L’atto amministrativo è definito come qualsiasi manifestazione di volontà, desiderio o conoscenza proveniente da una PA nell’esercizio di una potestà amministrativa; nell’ambito di tali atti, importante è il provvedimento, atto con cui si chiude il procedimento amministrativo, emanato dall’organo competente.

Il provvedimento, risultato dell’esercizio del potere amministrativo attribuito all’amministrazione, è dotato di effetti sul piano dell’ordinamento generale. L’amministrazione pone in essere comportamenti giuridicamente rilevanti che non sono atti amministrativi in senso proprio: sono operazioni materiali (in esecuzione di atti o doveri scaturenti da norme: sopralluoghi, misurazioni, ecc.) e di misure di partecipazione volte a portare atti nella sfera di conoscibilità dei terzi. Con l’interpretazione del provvedimento si perviene alla giuridica qualificazione del provvedimento stesso, del suo contenuto e dei suoi effetti. Esso è composto da una intestazione, dove è indicata l’autorità emanante, da un preambolo, ove sono enunciate le circostanze di fatto e quelle di diritto, dalla motivazione che indica le ragioni giuridiche e i presupposti del provvedere, e dal dispositivo che rappresenta la parte precettiva del provvedimento e contiene la concreta statuizione posta in essere dall’amministrazione. Il provvedimento viene datato e sottoscritto, indicando luogo della sua emanazione.

La volontà procedimentale

Componente fondamentale del provvedimento è la volontà intesa come volontà procedimentale; basti pensare, ad esempio, ad un provvedimento emanata da un sindaco: rilevante è la volontà oggettivata del procedimento nel suo complesso. Il provvedimento è un atto di disposizione in ordine all’interesse pubblico che l’amministrazione deve perseguire e che si correla con l’incisione di situazioni soggettive. Caratteristica essenziale del provvedimento amministrativo, quando la situazione incisa sia un diritto, la sua estinzione a prescindere dalla volontà del destinatario. Il provvedimento è sempre caratterizzato dal perseguimento unilaterale di interessi pubblici e dalla produzione unilaterale di vicende giuridiche dei privati. La tipicità del provvedimento amministrativo, invece, diretta espressione del principio di legalità, sembra correlata agli effetti di modificazione delle situazioni giuridiche soggettive di terzi. Per conseguire gli effetti tipici, la PA può ricorrere agli schemi individuati dalla legge. È questo il c.d. principio di nominatività, riferito al provvedimento ed al potere.
Ai sensi dell’art. 21 della legge 241/1990, è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, la cui assenza impedisce al provvedimento di venire in vita. Gli elementi sono 5: soggetto, contenuto dispositivo, oggetto, finalità e forma. Il potere è conferito al soggetto pubblico dotato di personalità giuridica; la violazione della norma relativa ai limiti soggettivi del potere determina la nullità del provvedimento.
Il potere consiste nella possibilità di produrre una determinata vicenda giuridica (contenuto dispositivo del potere). La dottrina distingue tra contenuto necessario (consistente nella vicenda giuridica tipizzata dalla legge), accidentale e implicito del provvedimento. L’insieme della clausole accessorie, che la volontà dell’amministrazione può introdurre nell’atto, costituisce il contenuto accidentale dell’atto. Il contenuto implicito del provvedimento è costituito dalle disposizioni operanti in virtù della legge, seppur non richiamate nel provvedimento. L’oggetto deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile; può essere il bene, la situazione giuridica o l’attività destinati a subire gli effetti giuridici prodotti dal provvedimento.
Potere e corrispondente provvedimento sono caratterizzati dalla preordinazione alla cura dell’interesse pubblico che è risultato vincente nel giudizio di bilanciamento tra valori diversi, risolto dalla norma di relazione (finalità). L’atto, inoltre, deve rivestire una certa forma a pena di nullità; si tratta della forma scritta, anche se non mancano esempi di esternazioni dell’atto in forma orale.
La prima categoria di nullità del provvedimento amministrativo è quella strutturale: è nullo il provvedimento che manca degli elementi essenziali. I tentativi di individuare casi concreti in cui venga violata una norma delimitativa del potere (e si abbia carenza di potere) risultano poco fruttuosi; le ipotesi configurabili (es. provvedimento avente oggetto impossibile) sono in sostanza scolastiche e ad esse va riferita la nullità o l’inesistenza. Il potere non esiste e l’effetto non si produce quando l’amministrazione agisce violando una norma attributiva del potere. La mancanza o carenza di potere si presenta come carenza “in astratto” (ossia non si alcuna degradazione) e “in concreto” (il potere non manca totalmente, esso sussiste poiché le norme attributive del potere sono state osservate, e ciò gli permette l’esplicitazione di effetti giuridici).
L’atto emanato nel rispetto delle norme attributive del potere ma in difformità di quelle d’azione è affetto da illegittimità ed è sottoposto al regime dell’annullabilità.

L’illegittimità

L’illegittimità può essere di quattro tipi: originaria (l’illegittimità si determina con riferimento alla normativa in vigore al momento della perfezione dell’atto), sopravvenuta (la normativa sopravvenuta successivamente all’emanazione del provvedimento non incide sulla validità dello stesso), derivata (l’ipotesi di annullamento dell’atto che costituisce il presupposto di altro atto da luogo  ad un caso di illegittimità derivata) e parziale (si riscontra quando solo una parte del contenuto  sia illegittimo e soltanto essa sarà oggetto di annullamento, salvo che eliminandola non sia più possibile configurare come tale l’atto amministrativo: la restante parte resta in vigore, determinando un cambiamento  del contenuto originario dell’atto - modificazione).
Il provvedimento difforme dal paradigma normativo non è annullabile in alcuni casi; questo si verifica quando esso sia adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti. Il provvedimento, ad esempio, non è annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non poteva essere diverso da quello adottato.

I vizi di legittimità degli atti amministrativi

I vizi di legittimità degli atti amministrativi sono l’incompetenza (vizio che consegue alla violazione della norma d’azione che definisce la competenza dell’organo; l’incompetenza si può avere per materia, valore, grado o territorio. Quest’ultima ricorre qualora un organo eserciti una competenza di un altro organo dello stesso ente che disponga di diversa competenza territoriale (es. un prefetto invade la competenza di un altro prefetto)), violazione di legge (quando si violi una qualsiasi altra norma d’azione generale e astratta che non attenga alla competenza e sempre che, in caso di attività vincolata, non trovi applicazione; la violazione di legge abbraccia situazioni come violazioni procedimentali, vizi di forma, carenza di presupposti fissati dalla legge, ecc.) ed eccesso di potere (risvolto patologico della discrezionalità che sussiste quando la facoltà di scelta spettante all’amministrazione non è correttamente esercitata). La conversione è istituto che riguarda gli atti nulli: in luogo dell’atto nullo si considera esistente un atto differente, purché sussistano i requisiti di questo e risulti che l’agente avrebbe voluto il secondo atto se fosse stato a conoscenza del mancato venire in essere del primo.

L’inoppugnabilità dell'atto

L’inoppugnabilità è la condizione in cui l’atto viene a trovarsi ove siano decorsi i termini per impugnarlo. Tale atto va distinto da quello convalidato ed è sempre annullabile d’ufficio e disapplicabile dal giudice ordinario.

L’acquiescenza

L’acquiescenza è l’accettazione spontanea e volontaria delle conseguenze dell’atto e della situazione da esso determinata. Tale comportante presuppone la conoscenza del provvedimento e l’avvenuta sua emanazione.

La ratifica, la rettifica e la rinnovazione

Differente è l’istituto della ratifica, che ricorre quando sussista una legittimazione straordinaria di un organo ad emanare a titolo provvisorio e in una situazione d’urgenza un provvedimento che rientra nella competenza di un altro organo, il quale, ratificando, fa proprio quel provvedimento legittimo. Anche la rettifica non riguarda provvedimenti viziati, ma atti irregolari, e consiste nell’eliminazione dell’errore. Infine la rinnovazione del provvedimento annullato che consiste nell’emanazione di un nuovo atto, con la ripetizione della procedura a partire dall’atto viziato. Rinnovazione possibile se l’atto precedente non sia stato annullato per motivi sostanziali (es. mancanza di un presupposto). L’efficacia è condizionata dall’adozione di provvedimenti amministrativi posti in essere a conclusione di procedimenti di secondo grado, detti di revisione.

L’eseguibilità e l'esecuzione

L’eseguibilità rappresenta l’effettiva attitudine del provvedimento ad essere eseguito, mediante l’esecuzione: i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente. Tipico atto che incide sull’eseguibilità ed efficacia è la sospensione amministrativa, provvedimento con il quale è temporaneamente paralizzata l’eseguibilità di un provvedimento efficace. L’esecuzione può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato.

Sospensione, proroga e revoca

Il termine della sospensione, indicato nell’atto che la dispone, può essere prorogato per una sola volta oppure ridotto per sopravvenute esigenze. La proroga è il provvedimento con cui si protrae ad un momento successivo il termine finale dell’efficacia di un provvedimento durevole; la proroga in senso proprio va adottata prima della scadenza del provvedimento di primo grado. La revoca è il provvedimento che fa venire meno la vigenza degli effetti di un atto, a conclusione di un procedimento volto a verificare se i risultati cui si è pervenuti, tramite il precedente provvedimento, meritino di essere conservati. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Ai sensi dell’art. 123 Cost., lo statuto delle regioni regola l’esercizio del referendum su provvedimenti amministrativi della regione: l’esito del referendum consiste nel ritiro del provvedimento. Il ritiro degli atti amministrativi interessa anche gli atti degli enti locali. Le amministrazioni pubbliche possono concludere accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. L’accordo si caratterizza per il necessario coinvolgimento di profili diversi da quelli patrimoniali, in particolare dell’esercizio di potere amministrativo che è qualificato come bene sottratto alla comune circolazione giuridica.

Tratto da DIRITTO AMMINISTRATIVO di Valerio Morelli
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