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CASO PERSONALE DIPLOMATICO E CONSOLARE DEGLI USA A TEHERAN 1980


Gli studenti islamici favorevoli al regime dell'ayatollah Khomeini assediano nel 1979 l'ambasciata degli USA a Teheran. Entrano sotto lo sguardo complice dell'esercito iraniano e rapiscono i 70 membri del personale diplomatico presenti (rubano e distruggono inoltre i documenti dell'ambasciata). La gran parte di loro vennero tenuti in ostaggio fino alla fine della crisi nel 1981.
Il presidente del Consiglio di sicurezza richiese pubblicamente la cessazione del sequestro.
Il presidente dell'Assemblea Generale scrisse a Khomeini.
Vennero emanate due risoluzioni affinché l'Iran garantisse la liberazione immediata degli ostaggi.
Il Segretario Generale venne incaricato di tentare una mediazione fra le parti.
Gli USA prendono provvedimenti mirati (espulsioni, boicottaggio, rottura relazioni diplomatiche e sanzioni economiche. Tentativo (richiamandosi all'articolo 51 della Carta ONU) di liberazione ostaggi infruttuoso.
Deposito del ricorso alla CIJ per accertare la responsabilità dell'Iran nella vicenda in violazione del diritto internazionale (consuetudinario e pattizio in merito al trattamento degli agenti diplomatici). Richiesta di rilascio, riparazione e giudizio dei responsabili.
L'Iran nega la competenza della CIJ affermando che si tratta di una questione interna e che essa era da inquadrare in più vasti meccanismi politici tra i due stati. La CIJ rigetta queste obiezioni e stabilisce la propria competenza basandosi su diverse fonti.
La Corte attribuisce all’Iran l’illecita detenzione dal momento in cui il Governo iraniano approvò ufficialmente e decise di far propria l’azione degli studenti e dal momento in cui viene accertata una negligenza nella protezione del personale diplomatico → elemento soggettivo. La condotta in questione viene così a costituire una violazione delle norme sul trattamento del personale diplomatico → elemento oggettivo. La crisi finisce nel 1981 tramite mediazione dell'Algeria e Dichiarazione di Algeri in cui i due stati si impegnavano a deferire ogni reclamo a un tribunale internazionale noto come tribunale Iran-Stati Uniti.
Per il diritto internazionale non basta ad identificare l’illecito, e quindi ad attribuire la responsabilità, il fatto che lo Stato abbia indirizzato comandi agli individui, se questi non si accompagnano alla concreta possibilità che tali ordini siano attuati. Il contenzioso internazionale, quindi, ha sempre per oggetto questioni concrete. Può darsi che una legge contenga un provvedimento concreto e attuabile. In tal caso l’emanazione stessa costituisce illecito internazionale.
Si discute, poi, se possa parlarsi di responsabilità dello Stato, quando un suo organo, agendo nell’esercizio delle sue funzioni, vada oltre la sua competenza: illeciti commissivi, ad esempio tortura, assassinii, maltrattamenti, catture in territorio straniero condotti da organi di polizia in violazione del diritto interno e contravvenendo agli ordini ricevuti. In tal caso, il Progetto (art. 7) e parte della dottrina (e la prassi) affermano che, comunque, la responsabilità ricade sullo Stato; per altra parte della dottrina, invece, l’azione resta propria degli individui che l’hanno compiuta e l’illecito dello Stato consisterebbe nel non aver preso misure idonee a prevenirla. Per il Conforti è da preferire la teoria del Progetto, in quanto più aderente alla giurisprudenza internazionale e perché l’illecito dello Stato si verifica solo quando siano esauriti gli eventuali mezzi di ricorso interni e, dunque, anche quando lo Stato, pur avendo la possibilità di riparare, non lo abbia fatto.
Si esclude la responsabilità dello Stato, quando a commettere l’illecito internazionale non sono organi statali, ma privati che arrechino danni ad individui, organi o Stati stranieri. Lo Stato risponde solo quando non abbia adottato misure idonee a prevenire l’azione e a punirne l’autore e, quindi, solo per il fatto dei suoi organi inadempienti. Del resto, le norme internazionali non si rivolgono ai privati, ma agli organi statali e l’illecito internazionale scatta quando vi sia una violazione di una norma internazionale; le norme in materia di offese agli individui e agli organi stranieri richiedono che gli organi dello Stato territoriale adottino misure preventive e punitive. Un caso, invece, in cui lo Stato risponde di illecito per fatti a lui non imputabili è quello della responsabilità per danni causati da oggetti spaziali.
Più aderente alla teoria della solidarietà di gruppo è l’atteggiamento dell’Italia fascista nel caso dell’omicidio del gen. Tellini, avvenuto in Grecia nel 1923. L’Italia operò una rappresaglia armata a Corfù, in segno di protesta contro l’assassinio del suo funzionario che doveva delimitare la frontiera tra Grecia, Albania e Italia. Sul caso la Società delle Nazioni stabilì che la responsabilità dello Stato, sul territorio del quale l’episodio avviene, è ravvisabile solo quando non siano state prese tutte le misure appropriate per la ricerca, l’arresto e il giudizio del criminale. Anche nel citato caso dei diplomatici americani a Teheran, prima che l’Iran facesse propria l’azione degli studenti, l’illecito del Governo iraniano già sussisteva per non aver adottato misure per prevenire il sequestro.
Art 8: deriva dalla sentenza Nicaragua vs Usa → agenti di fatto: privati che agiscono palesemente sotto istruzioni/controllo di uno stato; l'illecito è riconducibile allo stato.

Tratto da DIRITTO INTERNAZIONALE di Alice Lavinia Oppizzi
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