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Invalidità della delibera dell'assemblea dei soci

Le delibere assembleari possono essere invalide in quanto presentano due grandi categorie di vizi:
- vizi relativi al procedimento assembleare
- vizi di contenuto delle delibere assunte
Le fattispecie giuridiche in cui sono stati inquadrati questi vizi e la conseguenza sul piano dell’invalidità sono:
- nullità
- annullabilità


Soluzione data dal codice del 1942 all'invalidità della delibera


la disciplina del codice del ’42 era piuttosto scarna, che aveva come finalità principale quella di assicurare certezza e stabilità alle delibere societarie, ossia era un sistema che preferiva tutelare la stabilità delle delibere, piuttosto che favorire l’impugnativa delle stesse. In questo contesto qualora si fosse trattato di vizi di procedimento, il rimedio era l’annullabilità della delibera. Diversamente la nullità era una sanzione eccezionale, solo per le delibere che avessero oggetto impossibile o illecito. In un sistema del genere alla nullità si poteva fare ricorso poche volte, all’annullabilità si poteva fare ricorso ma entro 3 mesi dall’assunzione della delibera, entro i quali l’azione per ottenere l’annullamento della delibera doveva essere proposta. Una volta trascorsi questi tre mesi i vizi non potevano più essere contestati.
La giurisprudenza ha cercato una strada per offrire una protezione maggiore per reagire anche a vizi procedimentali oltre i 3 mesi: ha creato una terza categoria di delibere invalide, le DELIBERE INESISTENTI, che vuol dire delibere che hanno dei vizi talmente gravi che non consentono di qualificare l’atto assunto dall’assemblea dei soci come una delibera. Quindi essendo inesistente si applica la sanzione della nullità. Nella pratica però c’era un problema: di fronte a delibere affetti da vizi di procedimento bisognava capire quando i vizi erano così gravi. La conseguenza era un’estrema incertezza, non si riusciva in concreto a capire quali erano le delibere inesistenti, salvo caso conclamati, come le delibere materialmente inesistenti. In questo contesto si è inserita la riforma del 2003 che ha profondamente rinnovato la disciplina.


Invalidità della delibera dopo la riforma del 2003


Questa riforma ha ricondotto alla nullità e alla annullabilità tutti i possibili vizi delle delibere. La disciplina è contenuta negli arti.2377 e seguenti.
Sono considerate ANNULLABILI tutte le delibere che non siano state prese in conformità della legge e dello statuto, con una serie di specificazione contenute nella norma. L’art.2377 individua tre sottocategorie che sono cause di annullabilità:
- la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, ma soltanto se la partecipazione di persone non legittimate è stata determinate per la costituzione dell’assemblea (per raggiungere il quorum);
- l’invalidità di singoli voti o il loro errato conteggio, ma soltanto se è stato determinate per l’assunzione della delibera;
- incompletezza o inesattezza del verbale, solo se questa impedisce di accertare e di venire a conoscenza del contenuto, degli effetti e della validità di quella delibera.
Sono legittimati a impugnare la delibera per annullamento:
- amministratori;
- consiglio di sorveglianza;
- collegio sindacale;
- soci assenti, dissenzienti o astenuti, ovviamente non da chi ha votato a favore. Non possono impugnare la delibera anche i soci il cui voto era sospeso.

Gli organi di amministrazione e controllo della società possono proporre l’impugnativa solo collegialmente (tutti insieme o a maggioranza) a meno che la delibera da impugnare non sia lesiva di un interesse personale del singolo individuo. Inoltre questi organi possono impugnare la delibera, anche se questa è stata assunta all’unanimità di tutti i soci. Questo fa capite che la legittimazione di questi soggetti è a tutela non solo dell’interesse dei soci, ma di un interesse generale dell’agire societario.
Sulla legittimazione dei soci c’è stata una nuova norma molto importante introdotta con la riforma del 2003, che ha previsto che tra i soci con diritto di voto che hanno votato contro, si sono astenuti o sono stati assenti, la possono impugnare solo i soci, che anche congiuntamente tra loro raggiungono il 5% del capitale sociale, nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, o l’1 x 1000 nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Questa norma è stata introdotta per arginare il fenomeno delle impugnative ricattatorie, dove piccoli azionisti con una partecipazione poco significative, impugnavano una delibera al fine di intralciare le operazioni della società. Però questi soggetti hanno diritto a chiedere il risarcimento del danno.
Questa norma ha suscitato notevoli critiche. E una delle prime reazioni è stata quella di dire che questa norma è anticostituzionale, perché crea disparità tra gli azionisti. Gli azionisti che richiedono il risarcimento possono chiedere alla società soltanto il risarcimento del danno diretto, il danno che il singolo azionista ha subito nel suo patrimonio, non il danno indiretto, ossia quello che il singolo azionista subisce quale conseguenza di un danno al patrimonio sociale.

È stato trovato un ulteriore rimedio per questi soci: richiedere il risarcimento del danno da delibera illegittima tanto diretto, quando indiretto, anche al socio di maggioranza che ha intenzionalmente votato a danno della società o degli altri soci. Quest’ultimo rimedio non è scritto nel codice, ma è stato studiato dalla dottrina per una maggiore tutela a questi soci.
Il termine per l’annullabilità è di 90 giorni e decorre o dalla delibera o dalla data del deposito presso il registro delle imprese. Per vedere se sono rispettate le soglie minime, bisogna guardare il momento in cui si propone l’azione di annullamento e questa soglia minima deve essere mantenuta per tutta la durata del processo giudiziario di annullamento.
Per evitare impugnazioni pretestuose, il legislatore ha previsto una serie di accorgimenti, per esempio il giudice che si occupa di questa causa può chiedere che i soci che hanno impugnato prestino idonee garanzie per il risarcimento del danno, in modo tale che può pagare il risarcimento del danno alla società.
Inoltre la proposizione di un’azione di annullamento non comporta automaticamente la sospensione dell’esecuzione della delibera. La sospensione dell’esecuzione può essere ordinata dal giudice solo se esso si rende conto che i danni che il socio impugnante subirebbe in caso di esecuzione di quella delibera sono superiori ai danni che la società subirebbe in caso di sospensione dell’esecuzione. Se la delibera viene annullata la pronuncia di annullamento ha effetto per tutti i soci, restano comunque salvi i diritti che i terzi hanno acquistato in buona fede.
Se viene adottata una delibera annullabile, non può più essere richiesto l’annullamento se questa  delibera viene revocata o viene sostituita in modo tale da correggere i requisiti negativi di quella precedente. E il giudice stesso può suggerire alle parti quali modifiche apportare alla delibera per sanare i vizi precedenti.
La riforma del 2003 è intervenuta fortemente sulla disciplina della NULLITÀ, sotto due profili:
- ha ampliato le cause di nullità, da una sono diventate tre, e l’ha fatto per porre un argine alla categoria delle delibere inesistenti;
- dettare una disciplina autonoma della nullità delle delibere assembleari, mentre prima la disciplina delle delibere era conforme alla disciplina della nullità dei contratti, adesso è stata dettata una disciplina autonoma, con una serie di soluzioni dirette a privilegiare la stabilità di queste delibere.

Tratto da DIRITTO COMMERCIALE DELLE SOCIETÀ di Valentina Minerva
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