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La fusione delle società


Come nel caso della trasformazione, anche nel caso della fusione, nella nuova disciplina della fusione è possibile, abbastanza facilmente, creare una serie di settori all’interno degli articoli previsti dal codice. Quindi è abbastanza semplice distinguere questi articoli in gruppi, cioè il legislatore è stato ordinato (è lo stesso discorso vale per la scissione).
Qui il legislatore della riforma ha avuto molto meno possibilità di introdurre delle innovazioni, perché ci troviamo di fronte a una disciplina comunitaria (sia nella fusione che nella scissione) che ha posto, ai legislatori dei singoli stati, dei paletti precisi, che non possono essere movimentati.
Il legislatore italiano ha introdotto una serie di innovazioni all’interno dello spazio lasciato libero ed ha anche introdotto delle innovazioni che erano consentite dal legislatore comunitario e che prima non erano state previste.
Bene. Possiamo distinguere all’interno delle norme in tema di fusione un primo settore, molto circoscritto in quanto è costituito da una sola norma, che contiene la definizione di fusione.
Troviamo poi un secondo settore, anche qui costituito da una sola norma, che disciplina una importante operazione (già nota ma non ancora disciplinata) che è la fusione a seguito di acquisizione con indebitamento. Questa è la formula utilizzata dall’articolo 2501-bis.
Troviamo poi una serie abbastanza nutrita di norme che disciplinano il procedimento di fusione e quindi le vaie tappe del progetto di fusione, che sono sostanzialmente 3: il progetto, la deliberazione e l’atto.
Abbiamo poi alcune norme che disciplinano gli effetti della fusione e infine alcune norma che disciplinano le cosiddette “fusioni semplificate”, cioè l’ipotesi in cui il procedimento di fusione, date le particolari caratteristiche dell’operazione posta in essere, vede delle semplificazioni.
Bene; partiamo dal primo settore, cioè le “forme di fusione”, articolo 2501.
La norma è costituita da 2 commi che si pongono su 2 piani un po’ diversi. Il primo comma ci illustra le fattispecie di fusione, cioè i modi con cui la fusione può manifestarsi, mentre il secondo comma indica quale società possono partecipare alla fusione.
Il primo comma recita: “La fusione di 2 società può eseguirsi mediante la costituzione di una nuova società o mediante l’incorporazione in una società”.
Questo è un discorso che ha un rilievo operativo notevole.
Il legislatore prevede 2 ipotesi, o 2 forme, di fusione:
-La fusione in senso stretto, cioè 2 o + società costituiscono una nuova società; oppure
-La fusione per incorporazione, dove due o più società sono incorporate in un’altra società, che quindi prosegue la sua attività dopo aver inglobato queste società.
La fusione in senso stretto è molto rara. È di gran lunga più diffusa la fusione per incorporazione, cioè una società incorpora, cioè ingloba un’altra società.
La fusione di San Paolo e Banca Intesa è una fusione per incorporazione, in quanto Intesa ha incorporato San Paolo.
Bene. Che cos’è la fusione? Quali effetti determina l’operazione di fusione?
Qui abbiamo 2 effetti che possono essere esaminate in un’ottica economico- aziendalistica, cioè in un’ottica sistematico.
Abbiamo una visione “tradizionale” e anche un po’ antropomorfica della fusione che viene era abbracciata dalla giurisprudenza della cassazione, fino alla riforma.
Questa visione sostanzialmente ricostruiva la fusione in questo modo:
La fusione determina:
- l’effetto estinzione delle società partecipanti alla fusione in senso stretto, o dell’incorporata.
Se A e B danno luogo alla fusione in senso stretto e costituiscono G, A e B (partecipanti alla fusione in senso stretto) si estinguono.
Oppure: se B ingloba A, A si estingue.
Si parlava di “visione antropomorfica” perché c’era chi arrivava ad una equiparazione in chiave drammatica e diceva: A e B in caso di fusione in senso stretto muoiono. Se B incorpora A, A muore.
Quindi il primo effetto è l’effetto estintivo delle società partecipanti alla fusione o delle società incorporate.
Il secondo effetto si ha però solo nella fusione in senso stretto, perché nella fusione per incorporazione l’incorporata già esiste, in quanto l’icorporante uccide l’incorporata, che muore.
Invece nella fusione in senso stretto:
- abbiamo un momento luttuoso, cioè la morte delle società partecipanti, ma abbiamo anche un fiocco rosa perché nasce la società risultante dalla fusione, e quindi abbiamo l’effetto costitutivo.
Terza prospettiva, cioè terzo effetto è
- l’effetto successorio, cioè tutti i beni, tutti i rapporti, i diritti, gli obblighi facenti capo alle società estinte o facenti capo alle società incorporate, vengono trasferite o alla nuova società o all’incorporante.
Se le società partecipanti si estinguono, se le società incorporate si estinguono che fine fanno i beni, rapporti, gli obblighi, ecc? si trasferiscono alla nuova società o si trasferiscono alla incorporante. Si parla infatti di successione universale perché la nuova società o l’incorporante succedono in tutti i rapporti dell’incorporata; è una successione universale simile addirittura a quella “mortis causas”, cioè nel caso di morte di una persona fisica.
La fusione non è certamente un fenomeno luttuoso, ma di crescita e quello che viene meno è l’individualità delle varie società: non sono più società autonome l’una dall’altra, costituiscono un unicum, ma sono ben presenti, non sono sparite.
Questa visione della fusione in chiave di estinzione, costituzione, trasferimento dei diritti, obblighi ecc aveva poi un costo, una conseguenza molto importante: se le società partecipanti o la società incorporata effettivamente si estinguono, questo vuol dire che una volta intervenuto l’effetto fusione, qualunque atto rivolto a queste società è un atto nullo, in quanto è rivolto a chi non esiste.
Questo significa fare la massima attenzione nel seguire il registro delle imprese perché se si dovesse rivolgere un atto giudiziario ad una società estinta per fusione, quell’atto è nullo.
Questa visione tradizionale di una parte della dottrina e della  giurisprudenza era contrastata da un orientamento dottrinale, per nulla accolto in giurisprudenza, che invece si opponeva a questa visione e con una costruzione più inerente al dato reale ricostruiva la fusione come una “vicenda di assemblaggio”, cioè una vicenda diretta a unificare le varie società (in modo da creare un nuovo soggetto) e non a distinguerle.
Quindi se vogliamo usare le parole luttuose, quello che muore non è la società, ma quello che viene meno è l’autonomia delle singole società.
Quello che nasce non è una nuova società ma è un soggetto di diritti che accomuna quelli precedenti.
Interviene, nel 2003, la riforma societaria che introduce una piccola variazione lessicale.
Nell’articolo sugli effetti della fusione, art. 2504-bis, si dice che “la società che risulta dalla fusione o quella incorporante, assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione”.
Beh questo è ovvio; comunque si voglia intendere, o per l’estinzione e la costituzione, o invece per una sorta di assemblaggio, di perdita dell’autonomia, è chiaro che i diritti e gli obblighi delle società partecipanti o delle società incorporate passano alla nuova società o all’incorporante.
Il testo previgente diceva: “la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società ESTINTE”. Qui la giurisprudenza traeva argomento da questo dato letterale per sostenere che in effetti il legislatore considerava la fusione come una cosa che determinava l’estinzione delle società partecipanti o delle società incorporate e quindi questo argomento veniva utilizzato proprio per sostenere la tesi tradizionale.
Bene. Il legislatore della riforma invece non usa più la formula società estinte, ma società partecipanti alla fusione.
In questo modo, i redattori del testo della riforma, cioè coloro che avevano partecipato alle commissioni e redatto il testo della riforma, avevano buttato una stampella per puntellare la tesi della dottrina, favorevole a costruire la fattispecie della fusione non in chiave di estinzione ma in chiave di riassemblaggio.
Era una stampella normativa a favore di questa tesi. In realtà non è stata una stampella nelle palle, ma è stato un appiglio fortissimo, perché la Cassazione, dopo la riforma, si è pronunciata dicendo: “siccome il legislatore non va a ripetere società estinte, oggi dobbiamo interpretare il fenomeno fusione come un fenomeno appunto di unificazione di società e non di estinzione costituzionale”.
La Cassazione continua a sostenere la tesi della doppia vicenda (estinzione/costituzione) quando deve esaminare delle fattispecie alla luce della disciplina previgente, cioè deve giudicare su dei casi che si sono verificati prima del 2004.
Quindi oggi, alla luce di questo insegnamento della Cassazione, possiamo dire che le società che partecipano alla fusione, le società incorporate, non si estinguono ma vengono unificate o in una nuova e grande società o vengono unificate all’interno dell’incorporante, con l’importante conseguenza che l’atto nei loro confronti è ancora valido perché sono società esistenti, sia pure inglobate in un’altra società.
Bene, è chiaro tutto questo? Domande?
Quindi alla luce di tutto ciò possiamo dire che la fusione determina la perdita dell’individualità delle società incorporate; determina il sorgere di una nuova società che è semplicemente la somma di quelle precedenti e determina che i rapporti, gli obblighi proseguano in capo all’incorporante o in capo alla società risultante dall’assemblaggio di quelle partecipanti alla fusione.
Parliamo ora del secondo gruppo di norme, cioè la fusione a seguito di acquisizione o indebitamento. Questo è il “leverage by out” che viene appunto tradotto con l’espressione “fusione a seguito di acquisizione  o indebitamento”.
L’operazione ha avuto rilievo in passato. Certo è che questo tipo di operazione si colloca all’interno di un certo scenario e ha aperto una serie di problemi.
Dobbiamo soffermarci sullo sfondo normativo per poi esaminare come questa operazione è stata prima affrontata, in mancanza di dati normativi, da dottrina e giurisprudenza e poi vedremo come sia stata disciplinata dal legislatore della riforma abbia incontrato una serie di nuove realtà date da provvedimenti molto recenti.
Cominciamo dal quadro normativo di fondo, partendo leggermente da lontano.
Il legislatore prevede una serie di norme per le S.p.A. abbastanza complesse e oggi rese enormemente più complesse dalle direttive relative alle società quotate.
Queste norme in tema di azioni possono essere divise in 2 gruppo: ci sono delle norme che disciplinano le azioni in senso stretto, quindi i vari profili, il contenuto, la circolazione; poi abbiamo un gruppo di norme (che ci interessano) che disciplinano le operazioni sulle azioni, o meglio alcune operazioni sulle azioni.
Una di queste operazioni è l’acquisto di azioni proprie, cioè la società a certe condizioni, può acquistare azioni proprie.
L’acquisto di azioni proprie significa che la società diventerebbe azionista di se stessa. Questa è una operazione che certe società perseguono, per esempio è una politica delle Fiat. Perché acquisto di azioni proprie? Beh per tante ragioni, per esempio come investimento, se gli amministratori della società sono convinti che le azioni avranno un trend favorevole, oppure per avere azioni disponibili per un piano di stock optin, oppure per buttare sul mercato azioni per contrastare momenti di depressione, e così via.
L’acquisto di azioni proprie, se non ci fossero dei presupposti normativi, sarebbe una operazione “controsenso e pericolossima”.
L’acquisto di azioni proprie è esattamente, o potrebbe essere esattamente l’operazione opposta rispetto al conferimento.
È chiaro che l’acquisti di azioni proprie senza paletti, sarebbe la restituzione del conferimento, quindi un vero e proprio depauperamento del patrimonio della società nonché una vera e propria diminuzione mascherata del capitale sociale, tanto che l’acquisto di azioni proprie è prevista dal legislatore nel caso in cui è possibile ridurre il capitale sociale.
Inoltre, l’acquisto di azioni proprie senza paletti potrebbe avere delle conseguenze pericolosissime in ordine alla posizione degli amministratori.
Perché? Se la società acquista il 51% di azioni proprie, teoricamente chi utilizza o potrebbe utilizzare il voto che è legato a quelle azioni? Gli amministratori della società e quindi a quel punto gli amministratori della società sarebbero amministratori della società, ma potrebbero anche attraverso azioni proprie, esercitare il diritto di voto. Se si immaginasse una situazione di questo genere, gli amministratori potrebbero, sedendosi da una parte del tavolo,  sottoporre ai soci il bilancio e la sua approvazione e poi andare dall’altra parte dove si trovano i soci, esercitando il diritto di voto connesso alle azioni proprie e approvare il bilancio.
Bene. Il legislatore italiano ha stroncato queste possibilità già dal codice del 42 e poi quello comunitario lo ha fatto in modo ancora più stringente attraverso 2 strumenti: prima di tutto dal punto di vista patrimoniale dicendo: “va bene acquistare azioni proprie però attenzione, ci vuole l’autorizzazione dell’assemblea” e in secondo luogo di possono solo utilizzare riserve di utili disponibili, cioè riserve di utili accantonati.
In questo modo si esclude che si possa rimborsare attraverso l’acquisto di azioni proprie, il capitale. Con questo paletto si esclude che l’acquisto di azioni proprie possa essere un rimborso mascherato del capitale.
In secondo luogo, proprio per evitare che gli amministratori possano utilizzare a proprio favore il voto legato alle azioni proprie, il diritto di voto legato alle azioni proprie non può più essere esercitato in quanto sono nel patrimonio della società.
Bene. Poi il legislatore disciplina una ipotesi che è abbastanza vicino all’acquisto di azioni proprie ed è l’acquisto da parte della controllata di azioni della controllante, e poi introduce un ulteriore divieto che presentava un carattere assoluto.
Mentre l’acquisto di azioni proprie è ammesso in determinate situazioni, invece questo divieto aveva carattere assoluto.
Articolo 2358 è il divieto di assistenza finanziaria per l’acquisto di azioni proprie. Mentre la società può, a certe condizioni (se utilizza l’utile in riserve, sterilizzando il diritto di voto) acquistare azioni proprie con dei limiti quantitativi, non può mai porre in essere atti di assistenza finanziaria a favore dell’acquisto di azioni proprie.
Cosa vuol dire? Prima di tutto la società non può mai finanziare un soggetto perché acquisti azioni proprie.
Supponiamo che tizio voglia acquistare azioni della società A, non ha le disponibilità finanziarie per pagare il prezzo, può farsi finanziare da chiunque, da un suo amico, dal papà, dal mala, ma l’unico che non può finanziarlo è la società A.
Allo stesso modo, tizio se va a chiedere soldi a una banca e questa banca chiede come garanzia una fideiussione o un’ipoteca, può fornire garanzie da chiunque mano che da parte della società A.
Quindi la società non può effettuare prestiti ne fornire garanzie a favore di un soggetto che intenda acquistare azioni di quella società.
L’art. 2358 nella sua prima parte recita infatti: “La società non può accordare prestiti ne fornire garanzie per l’acquisto delle proprie azioni”. Perché? ecco questo è un divieto sanzionato dalla Comunità Europea, in particolare della seconda direttiva della Comunità Europea a tutela della effettività del capitale sociale, e le ragioni di questo divieto così assoluto non sono chiarissime.
Sono state anche ricostruite dalla dottrina con contenuti diversi; per esempio si può osservare che, in effetti, da un punto di vista operativo, finanziare l’acquisto di azioni proprie è una strana operazione: la società alfa dà al signor Rossi 1000 perché il signor Rossi acquisti azioni di quella società e quindi per esempio, se si tratta di aumento di capitale sociale, ridia questa somma alla società.
È un’operazione abbastanza strana: immaginate l’acquisto di nuove azioni, di nuova emissione: la società dà una somma di denaro in prestito ad un soggetto che poi per sottoscrivere quelle azioni emesse dalla società riconsegni quella somma alla società.
Ma probabilmente la ragione di tutto è di evitare di creare una sorta di soggezione del finanziato rispetto agli amministratori: il finanziato, colui che riceve 1000 per l’acquisto delle azioni di alfa, naturalmente dovrà  distribuire questi 1000, e quindi si teme che gli amministratori possano giocare su questa sorta di posizione di dipendenza (per esempio dicendo “va  beh, mi devi restituire 1000, ti consento una dilazione ma quando poi si tratta di votare in assemblea”).
Comunque il legislatore comunitario e il legislatore italiano hanno introdotto questo divieto secco per cui il finanziamento per l’acquisto di azioni proprie o la concessioni di garanzie per l’acquisto di azioni proprie sono vietate. Naturalmente la concessione di garanzie non è altro che un’operazione che potrebbe trasformarsi in finanziamento; se la società dà una fideiussione a favore di tizio per l’acquisto di azioni proprie, significa che tizio ottiene il finanziamento da una banca, ma se poi non restituisce questa somma, sarò la società a dover restituire la somma alla banca per via della presenza della fideiussione: è un finanziamento ipotetico.
Di fronte a questo divieto è chiaro non hanno cittadinanza le operazioni di finanziamento e le operazioni di garanzia per l’acquisto di azioni proprie.
Che cosa si è verificato quando operazioni hanno iniziato a diffondersi dagli USA, operazioni che hanno creato grossi dubbi in merito alla conformità di questa norma: l’operazione della fusione a seguito di acquisizione o indebitamento può essere sostanzialmente schematizzato distinguendola in due fasi:
-da una parte c’è una società bersaglio alfa, o società target, di una certa dimensione, che a volte aveva problemi e che presentava delle potenzialità dal punto di vista economico, ma che avrebbe necessità di un cambio di manager, una nuova direzione; dall’altra parte invece c’è una società piccolina beta, costituita per esempio dai manager, che intende acquistare la maggioranza delle azioni. Quindi abbiamo una società alfa più grande, e una società beta più modesta, con la seconda interessata all’acquisto della prima. Ipotizziamo che beta non abbia i mezzi finanziari per acquistare le azioni di alfa dal vecchio socio di maggioranza di alfa; beta chiede allora un prestito ad un istituto finanziario. La società beta acquista quindi il 60% delle azioni di alfa, e poi essendo beta molto piccola, per garantire la restituzione dei soldi avuti per acquistare le azioni, dà in pegno alla banca le azioni acquisite.
Quindi al termine di questa prima fase abbiamo la società alfa che vede come socio di maggioranza beta, beta che ha acquisito dalla banca i mezzi finanziari necessari per acquistare le azioni, e che quindi è debitore nei confronti della banca, e abbiamo beta che dà in pegno alla banca le azioni.
L’operazione potrebbe anche chiudersi qua, se il debito che beta ha dei confronti della banca può essere estinto con gli utili che beta può avere da alfa, si ha un equilibrio.
Fin qui problemi non ce ne sono, perché l’acquisto delle azioni della società alfa da parte di beta è finanziato da una banca, non da beta; quindi alfa non finanzia l’acquisto di azioni proprie, ne dà garanzie per l’acquisto di azioni proprie, perché il finanziamento è dato dalla banca e perché la banca ottiene una garanzia dai soci di beta attraverso il pegno delle azioni acquistate.
Alfa quindi alla fine ha come socio di maggioranza beta; beta ha all’attivo il 60% delle azioni di alfa, e al passivo il debito nei confronti della banca, e per garantire questo debito, beta dà in pegno alla banca le azioni che ha acquistato.
- Qui incominciano i dubbi: beta incorpora alfa. Se beta incorpora alfa, avremmo la morte di alfa e il passaggio di tutti i diritti e gli obblighi di alfa a beta.
 Dopo la fusione, beta non è più una piccola società, perché ha acquisito il patrimonio dell’incorporata.
Che ne è del pegno dato alla banca? La banca aveva acquisito il pegno da beta come contropartita del finanziamento per l’acquisto delle azioni di alfa; il pegno si estingue, perché ormai alfa ha perso la sua titolarità, è diventata un tuttuno con beta: quindi le azioni di alfa, una volta incorporata, non esistono più, e la banca perde il pegno.
Qual è però il grossissimo vantaggio che in questo caso viene ad avere la banca? La banca ha come debitore sempre beta, non ha più il pegno, ma beta prima era una piccola società, mentre ora è una grande società con un grande patrimonio.
Attraverso il gioco della fusione per incorporazione il debito di restituzione che prima gravava solo su beta, ora va a gravare su entrambe le società e quindi la parte che prima era garantita solo dal patrimonio inesistente di beta, o dalle azioni date in pegno, oggi non ha più la garanzia delle azioni, ma la garanzia di un grande patrimonio.
In tutto questo, chi è che può lamentarsi di questa operazione? I soci di minoranza della società bersaglio, che prima avevano una società con una certa situazione, mentre ora si trovano soci di alfa più beta molto indebitati; si possono lamentare anche i creditori di alfa, che prima erano creditori di una società in buon stato di salute, mentre oggi magari si trovano creditori di una società gravemente indebitata.

Che dire di questa norma? Se prendiamo in considerazione l’Art 2358, cioè “Divieto di assistenza finanziaria”, e lo interpretiamo alla lettera, questa norma non viene assolutamente violata, perché nella prima fase non abbiamo da parte della società bersaglio nessuna operazione di finanziamento o di garanzia, e quindi l’Art 2358 non viene violato, la società bersaglio mai dà il via ad operazioni di finanziamento o di garanzia per l’acquisto di azioni proprie: questo dal punto di vista formale.
Ma dal punto di vista sostanziale, quello che il legislatore vuole evitare è che su una società gravi il debito di restituzione di somme che sono state utilizzate per l’acquisto di azioni proprie; in buona sostanza infatti, sulla società bersaglio alfa che viene inglobata nel gruppo, viene a gravare il debito di restituzione che prima faceva capo solo alla società beta; per cui in una visione sostanzialistica, pare abbastanza fondato il dubbio di violazione dell’Art 2358, almeno nell’ottica della cosiddetta frode alla legge. La violazione può consistere tanto in una violazione diretta, quanto in un aggiramento della norma: praticamente ci sono dei soggetti che non hanno i soldi per acquistare le azioni di una società, si fanno finanziare da parte di un istituto di credito e poi attraverso la fusione fanno sì che quell’obbligo di restituzione vada a gravare su una realtà che è costituita dalla nuova società che si è venuta a formare.
La dottrina ha dato opinioni diverse, e c’è stato anche chi ha diviso fra ipotesi in cui l’operazione sia stata effettuata in una situazione in cui la società bersaglio ha degli asset non strategici (che possono essere ceduti ottenendo delle somme), o ha delle possibilità di fornire dividendi in modo tale da poter sopportare il peso di questo debito, e altre ipotesi dove invece questo indebitamento non può essere retto, rischiando di portare alla rovina della società bersaglio.
Questa tesi è stata tolta dal legislatore della riforma, che ha previsto questa operazione ritenendola ammissibile a certe condizioni: l’Art 2501-bis recita “Nel caso di fusione fra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra, quando per effetto della fusione il patrimonio di quest’ultima, cioè dell’acquisita, viene a costituire garanzia per il rimborso di vecchi debiti, si applica la disciplina del seguente articolo.”. il legislatore sembra dire che  l’operazione di leverage è anche buona quando si verifica queste condizioni e si applicano queste regole; quando invece non si verificano queste condizioni, e non si applicano queste regole, il leverage è cattivo. Quali sono le condizioni:
- il progetto di fusione di cui all'articolo 2501-ter deve indicare le risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione; quindi in sostanza, quando si procede a questa operazione, la prima cosa che deve essere fatta nel procedimento di fusione è questa; bisogna riportare come si prevede di rimborsare il debito di restituzione (ad esempio posso immaginare la vendita di asset, o che ci siano utili che permettono di pagare le somme alle varie scadenze). Si deve quindi per prima cossa rilevare il debito che grava sulla società derivante dalla fusione e le risorse finanziarie che possono essere previste per soddisfare il debito alle scadenze.
- la relazione degli amministratori è uno dei documenti che va allegato al progetto di fusione, e deve riportare le ragioni che giustificano l’operazione, cioè il perché si prospetta questa operazione, quali vantaggi, quali sinergie si vogliono conseguire, oltre che l’indicazione analitica della fonte delle risorse finanziarie e la descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere.;
- deve esserci inoltre una relazione degli esperti che attesti la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione, di queste previsioni.
- è poi prevista in allegato una relazione del revisore.
A queste condizioni l’operazione può essere compiuta, è un’operazione “buona” di leverage by out; tutto questo dipende quindi dalla serietà del progetto, della relazione degli amministratori e di quella degli esperti.
Oggi dobbiamo fare un ulteriore passo che, seppur non modificando formalmente questa norma, crea però uno scenario in parte nuovo; ciò perché il legislatore comunitario ha recentemente modificato la secondo direttiva in materia di effettività del capitale sociale, dando un colpo di acceleratore nel consentire maggiori spazi di libertà, riducendo appunti i limiti diretti a garantire l’effettività del capitale sociale.
Ha reso più libera la possibilità di acquisto di azioni proprie, e anche modificato in modo radicale la disciplina del divieto di finanziamento.
Il vecchio testo è quello che abbiamo visto prima, cioè con la società che non può  accordare prestiti ne fornire garanzie per l’acquisto delle proprie azioni.
Oggi la norma è diversa e lunghissima: oggi è un insieme articolato di commi, con un impianto profondamente diverso; la società non può accordare prestiti ne fornire garanzie per l’acquisto delle proprie azioni se non alle condizioni previste dal presente articolo.
È lo stesso discorso: prima accordare finanziamenti, accordare prestiti per l’acquisto di azioni proprie era vietato; oggi abbiamo le operazioni di assistenza finanziaria cattive, e le operazioni di assistenza finanziaria ammesse.
Quindi oggi non c’è più un divieto generalizzato, ma possono essere compiute operazioni di assistenza finanziaria; quindi oggi, aldilà dell’operazione di leverage by out, che può essere vista come un’operazione di aggiramento del divieto che può essere ammessa a certe condizioni, oggi abbiamo veramente il venir meno del divieto in presenza di certe circostanze.
Se queste circostanze sono presenti, la società può finanziare l’acquisto di azioni proprie, la società può accordare prestiti per l’acquisto di azioni proprie.
Quali sono i presupposti? Prima di tutto l’autorizzazione dell’assemblea straordinaria perché gli amministratori possano porre in essere queste operazioni; inoltre è prevista tutta una serie di informazioni che devono essere date ai soci per giustificare queste operazioni, tramite una relazione predisposta dagli amministratori che illustri sotto il profilo giuridico ed economico l’operazione; infine l’importo complessivo delle somme impiegate e delle garanzie fornite non può eccedere il limite degli utili distribuiti e delle riserve disponibili.
Anche qui, come per l’acquisto di azioni proprie, c’è questo limite di tipo patrimoniale, nel senso che il finanziamento o la garanzia non possono eccedere gli utili e le riserve disponibili.
In presenza di queste condizioni è possibile l’operazione diretta dell’acquisto di proprie azioni oppure di concessione di garanzie per l’acquisto di proprie azioni.
È comunque un’operazione un po’ strana, che potrebbe nascondere degli esiti non sempre limpidi; ciò nonostante il legislatore comunitario l’ha ammessa, e il legislatore italiano ne ha dato l’attuazione nell’ambito di quelle norme che vanno a toccare le garanzie di effettività del capitale sociale .
Si finisce così con il mettere  in dubbio oggi il fatto che il capitale sociale, con tutte queste norme di alleggerimento, abbia ancora tutta l’importanza, la rilevanza e il valore che aveva in passato.
Buona sera, abbiamo esaminato la nozione – la qualificazione di fusione di quella particolare operazione che è la fusione a seguito di acquisizione con indebitamento. Proseguendo e sempre seguendo l’ordine del Codice Civile, abbiamo la disciplina abbastanza articolata del procedimento di fusione. E qui come già sottolineato, troviamo una netta differenziazione con la trasformazione. Nel senso che la trasformazione è un atto, è una deliberazione mentre la fusione si snoda attraverso più atti. Quindi è un procedimento e cioè una pluralità di atti ed è quel procedimento che vede due momenti fondamentali e uno formale. I due momenti fondamentali, a loro volta, vedono la presenza e la compresenza dei due organi: cioè la fusione è un prodotto dell’Organo amministrativo e dell’assemblea, nel senso che la fusione passa attraverso la deliberazione da parte dell’organo amministrativo di un progetto di fusione e l’approvazione di questo progetto dall’Assemblea. I due momenti sono entrambi fondamentali e quindi la fusione è un’operazione straordinaria che richiede la presenza di due momenti e quindi l’intervento dei due organi. Il progetto di fusione, o meglio, la deliberazione di approvazione del progetto di fusione costituisce la prima tappa. Naturalmente quando parliamo di fusione parliamo di un’operazione che interessa almeno due     società o più di due. E quindi è chiaro che è un procedimento che deve essere svolto parallelamente nelle varie società e naturalmente in modo assolutamente coincidente. Quindi le varie società interessate o meglio i vari organi amministrativi delle società interessate debbono approvare il progetto di fusione e naturalmente si tratta di progetti di fusione con lo stesso contenuto e poi le varie assemblee o i vari, comunque, organi decisori delle società partecipanti debbono approvarlo, ecco poi l'ultimo momento che per così dire è il momento puramente formale ma di confluenza di queste varie procedure, che è l’atto di fusione.
Incominciamo dal Progetto di Fusione, quindi dal progetto approvato dagli organi amministrativi delle varie società interessate. Il Legislatore si occupa prima di tutto dell’Organo competente che è appunto l’organo amministrativo; nelle società di persone si potrà discutere, ma il prof. Pensa che occorra il consenso di tutti gli amministratori, nelle società di capitali sarà il CDA, anche nelle SRL sempre il CDA, è una deliberazione di tipo collegiale e approveranno il progetto di fusione. Il progetto di fusione ha un contenuto che è descritto analiticamente dal Legislatore. Precisamente l’art. 2501 ter., rubricato appunto “progetto di fusione” si apre richiamando l’organo competente, l’organo amministrativo delle società prendenti parte alla fusione, redige il progetto di fusione e poi prosegue indicando analiticamente il contenuto del progetto di fusione. Dal quale, progetto di fusione, devono in ogni caso risultare – ecco vediamo i profili più importanti:
“- il tipo, la denominazione o ragione sociale, la sede delle società partecipanti alla fusione;” è chiaro che il progetto di fusione deve identificarle società che partecipano alla fusione; quindi nel progetto di fusione risulterà che ovviamente la società che approva il progetto di fusione, partecipa e saranno indicate le altre società interessate. Quindi nel progetto di fusione, come ovvio, si dovrà dire per esempio che interviene la fusione tra la società Alfa, che è la società il cui organo amministrativo approva il progetto di fusione e la società Beta, Gamma; naturalmente dovranno essere identificate le società indicando il tipo, la denominazione, la sede della società. Sempre il progetto di fusione deve indicare:
“- l'atto costitutivo della nuova società risultante dalla fusione o di quella incorporante, con le eventuali modificazioni derivanti dalla fusione;” quindi si dovrà individuare se la fusione in senso stretto, e quindi determina il sorgere di una nuova società o se è una fusione per incorporazione e quindi dovranno essere identificate l’incorporante e l’incorporata. E dovrà essere individuato l’atto costitutivo della nuova società o dell’incorporante. È chiaro che laddove si tratti di fusione in senso stretto, la nuova società deve avere un nuovo atto costitutivo; laddove si tratti  di società incorporante, dovranno essere individuate solo le modificazioni che vengono apportate pere effetto della fusione alla società incorporante: per esempio l’ aumento del capitale.
“3) il rapporto di cambio delle azioni o quote, nonché l'eventuale conguaglio in danaro”.
Questo è un punto assolutamente fondamentale, il numero tre di questa elencazione: il rapporto di cambio, questo è fondamentale. Cioè dev’essere indicato il numero delle azioni o la % delle partecipazioni che otterranno i soci delle varie società partecipanti nella nuova società o nell’incorporante. Per esempio ad ogni azione della società Alfa, partecipante alla fusione, verranno date due azioni della società risultante o della società incorporante. Oppure occorrono tre azioni della società Alfa partecipante per avere un’ azione della società risultante o incorporante. È chiaro che il rapporto di cambio è determinato in base al peso dei rispettivi patrimoni attraverso delle estimative che noi dovremmo conoscere ( mah, ho i miei dubbi!!!) o studieremo nell’ambito delle materie aziendalistiche. Ecco, quello che deve risultare dal progetto di fusione, facciamo un discorso di tipo formale, quello che deve risultare dal progetto di fusione, facciamo un discorso di tipo formale, quello che deve risultare dal progetto di fusione è il rapporto di cambio, quindi il numero delle azioni o delle quote che vengono attribuite per ogni azione, per ogni partecipazione nelle società partecipanti. Quindi rapporto di cambio vuol dire semplicemente, ad esmpio: 1 a 3, 2 a 5, ecc.
Dall’atto di fusione deve risultare il momento in cui la fusione avrà effetto. Ma di questo ce ne occuperemo in seguito – a Natale -. Poi ha deciso di lasciare da parte altre indicazioni,su cui non si sofferma.  Il prof. vorrebbe ancora sottolineare che il progetto di fusione è sottoposto a pubblicità nel registro delle imprese. Naturalmente se le società hanno sedi diverse, sedi collocate sotto vari registri delle imprese, ogni progetto di fusione sarà pubblicato dal registro delle imprese o la sede della società. Il progetto di fusione, questo è importante, è poi corredato da tre documenti che hanno una portata, una funzione profondamente diversa. Il primo documento è la Situazione Patrimoniale; il secondo documento è la Relazione dell’Organo Amministrativo; il terzo documento è la Relazione degli Esperti. Bene. La situazione patrimoniale. La norma dell’art. 2501 quater recita: “L'organo amministrativo delle società partecipanti alla fusione deve redigere, con l'osservanza delle norme sul bilancio d'esercizio, la situazione patrimoniale delle società stesse, riferita ad una data non anteriore di oltre centoventi giorni al giorno in cui il progetto di fusione è depositato nella sede della società”.
Dimenticava di dirci che il progetto di fusione dopo essere iscritto presso il registro delle imprese è poi depositato presso la sede della società.
“La situazione patrimoniale può essere sostituita dal bilancio dell'ultimo esercizio, se questo è stato chiuso non oltre sei mesi prima del giorno del deposito indicato nel primo comma”.
Allora, abbiamo un dato: il giorno di deposito del progetto di fusione presso la sede della società. Bene. A questo punto, dobbiamo andare a ritroso di sei mesi e se andando a ritroso di sei mesi, troviamo un bilancio dell’ultimo esercizio chiuso, non è necessaria la situazione patrimoniale; diciamo che al posto della situazione patrimoniale può essere utilizzato il bilancio d’esercizio.
Se per esempio il progetto di fusione è stato depositato a fine febbraio di un certo anno e se quindi c’è un bilancio che è un bilancio dell’ultimo esercizio chiuso non oltre sei mesi prima, quindi pensiamo a un bilancio dell’ultimo esercizio chiuso al 31 dicembre, può essere utilizzato questo bilancio al posto della situazione patrimoniale. Se non è così, quindi pensiamo ad un progetto di bilancio depositato ad ottobre e quindi, immaginando un bilancio chiuso al 31 dicembre dell’anno prima, e quindi un bilancio chiuso oltre i sei mesi dal deposito di bilancio, deve essere redatta una situazione patrimoniale che fotografi la situazione patrimoniale della società, in data non anteriore di oltre 120 giorni, cioè di 4 mesi. In sostanza è chiaro che questa situazione patrimoniale non è altro che un bilancio d’esercizio. Questo risulta chiaramente primo dal fatto che non occorre redigerla se c’è un bilancio d’esercizio chiuso entro i sei mesi e in un secondo luogo dal fatto che lo stesso legislatore dice chiaramente che la situazione patrimoniale deve essere redatta con l’osservanza delle norme per la redazione del bilancio d’esercizio. Quindi in sostanza, la situazione  patrimoniale che correda il progetto di fusione, non è altro che un bilancio d’esercizio aggiornato a non oltre 4 mesi prima, 120 giorni per l’esattezza, alla data di deposito del progetto di fusione presso la sede della società. Se c’è un bilancio relativo a un esercizio chiuso nei 6 mesi prima, si può corredare  il progetto di fusione con il bilancio d’esercizio. Bene. Che cosa serve? Qual’ è la funzione di questa situazione patrimoniale, di questo bilancio d’esercizio aggiornato ad un periodo vicino al deposito del progetto di fusione, quindi ai 4 mesi? Ovviamente come qualsiasi bilancio d’esercizio, il bilancio d’esercizio aggiornato naturalmente offre delle informazioni utili, molto utili ai soci. Ma i destinatari di questa informazione aggiornata sono soprattutto i creditori. Creditori che debbono valutare la situazione delle varie società e quindi che debbano essere messi in grado, e vedremo tra breve perché, di esaminare e di valutare la situazione patrimoniale delle varie società. Qui vorrebbe sottolineare che la fusione oltre ad avere ovviamente un impatto anche notevole per i soci, i soci non saranno più soci della società Alfa, della società Beta, ma saranno soci di una società nuova o già preesistente che  unifica le varie società e quindi magari si troveranno di fronte a delle situazioni patrimoniali, a degli esercizi di attività, si troveranno anche davanti a delle regole societarie diverse. Ma la fusione ovviamente incide o può incidere pesantemente sulla posizione dei creditori. Perché ad un certo punto i patrimoni che vengono unificati, diventano strumenti di garanzia per tutti i creditori, creditori delle varie società e naturalmente possiamo avere situazioni di società tutte in buono stato di salute e per cui l’unificazione dei patrimoni non incide sulla posizione dei creditori, anzi magari permette sinergie, permette una crescita delle potenzialità della società e quindi addirittura una maggior tutela per i creditori. Ma possiamo avere, per fare un esempio più drammatico il caso della fusione di una società in buono stato di salute con una società che è vicino allo stato d’insolvenza, che è in profonda crisi, con il risultato che certamente i creditori della società in crisi si trovano magari un pochino avvantaggiati, ma i creditori  della società in buono stato di salute da creditori di una società in buono stato di salute possono ritrovarsi la sgradita sorpresa di diventare creditori di una società in stato di profonda crisi e magari destinata a fallire. Ecco la situazione patrimoniale delle varie società aggiornata permette ai creditori di valutare l’impatto sulla loro posizione della fusione. Quindi di valutare se la fusione rappresenta un matrimonio che  porta diciamo benessere oppure rappresenta un matrimonio che porta un grave pregiudizio ai creditori di una delle società che da creditori in buono stato di salute, si trovano magari a essere creditori della complessiva società che può essere in condizioni non buone. A volte si usa la formula che  la fusione non è solo la fusione di attività, di beni, di assets ma anche fusione di debiti. Bene. Il secondo documento molto importante è la Relazione dell’organo amministrativo. L’organo amministrativo, delle società partecipanti alla fusione, deve predisporre una relazione. E qui il Legislatore ci dice con chiarezza qual è il contenuto di questa relazione che sostanzialmente duplice. Illustra e giustifica sotto il profilo giuridico ed economico il progetto di fusione. Quindi è il primo obbiettivo, il primo contenuto della relazione è quello di illustrare e giustificare, quindi non solo spiegare, ma anche indicare le ragioni de progetto di fusione. Quindi il perché  gli amministratori propongono che la società, da loro amministrata, si fonda con un’altra o altre società. E notiamo che la relazione deve illustrare e soprattutto giustificare, spiegare le ragioni della fusone sotto il profilo giuridico ed economico. Quindi si vuole che gli amministratori pongano con chiarezza quali sono gli obbiettivi che si intendono raggiungere sotto il profilo economico. Quindi in sostanza quali sono le sinergie, quali sono le opportunità, quali sono i benefici che dovrebbero derivare dalla fusione e poi debbono illustrare anche l’impatto della fusione sotto il profilo giuridico e quindi quali sono le conseguenze giuridiche della posizione  dei soci. Bene. Questo è il primo contenuto della relazione degli amministratori di carattere, se vogliamo, un po’ generico. In sostanza illustrano e spiegano quali sono gli obbiettivi della fusione e quali sono gli effetti della fusione. Il secondo contenuto altrettanto, se non ancora più importante, è più specifico e riguarda sempre la illustrazione e giustificazione sotto il profilo giuridico ed economico del rapporto di cambio delle azioni e delle quote. E il legislatore aggiunge al comma successivo ( 2°comma del 2501 quinquies) : “ La relazione deve indicare i criteri di determinazione del rapporto di cambio. Nella relazione devono essere segnalate le eventuali difficoltà di valutazione”. Ecco questa è una parte fondamentale della relazione e riguarda il rapporto di cambio. Nel progetto di fusione è indicato semplicemente il rapporto di cambio: 1 a 3, 4 a 5; invece nella relazione degli amministratori si debbono illustrare e determinare i criteri che sono stati utilizzati per raggiungere quel rapporto di cambio. Quindi in sostanza con quali criteri sono stati pesati i patrimoni delle società; quali sono stati i criteri utilizzati per valutare il patrimonio della società. Ora è inutile,e non ne è in grado, che ci illustri la problematica dei criteri di valutazione delle aziende e le varie tecniche utilizzate, le tecniche miste, di cui noi sappiamo benissimo di tutta una problematica estremamente complessa di carattere aziendalistico. Qui viene in considerazione e viene in considerazione  naturalmente tenendo conto delle specificità delle singole società, perché come noi gli insegniamo i criteri di valutazione sono molti e devono anche essere collegati al tipo di società: cioè valutare il patrimonio di una banca non è come valutare il patrimonio di una compania di assicurazioni o di un’industria che produca prodotti frigoriferi. E notiamo il legislatore dice che nella relazione devono essere indicate le eventuali difficoltà di valutazione, cioè laddove gli amministratori abbiamo incontrato delle difficoltà di valutazione e quindi abbiano dovuto risolvere particolari problemi di valutazione, ecco questo dev’essere segnalato. E qui siamo in un discorso molto delicato, che è quello, anticipando un po’ quello  che vorrebbe accennare in seguito, che è quello delle o della possibilità, dei limiti e della possibilità di far valere in giudizio la non congruità del rapporto di cambio. Perché? Allora riguardati tutto il discorso, l’invalidità può esser fatta valere, qui l’invalidità della deliberazione di fusione dev’essere fatta valere fin quando l’atto di fusione non ha avuto effetti attraverso un’azione di impugnazione della delibera del progetto di fusione. Una volta che l’atto ha avuto effetto, l’azione invalidante  non è possibile ma è possibile solo l’azione risarcitoria. Si tratta di azione invalidante, si tratta di azione risarcitoria, uno dei possibili vizi, uno dei vizi più frequenti e più frequentemente portato all’attenzione del giudice, nel caso della deliberazione di fusione è la non congruità del rapporto di cambio. Ora il rapporto di cambio è una scelta da parte degli amministratori nel progetto di fusione e naturalmente come tutte le scelte che sono basate su delle valutazioni, ha un margine di discrezionalità. Ora che cosa fa il giudice se viene impugnata la deliberazione, o se si chiede il risarcimento perché si ritiene la deliberazione non corretta in quanto il rapporto di cambio non è congruo, che tipo di valutazione fa? Il giudice si sostituisce agli amministratori e fa una sua valutazione del rapporto di cambio? No, qui esiste una giurisprudenza consolidata che dice che il compito del giudice si limita a valutare la congruità dei criteri utilizzati. Ecco vediamo come è importante che nella relazione degli amministratori vengano individuati e illustrati e spiegati nella loro applicazione, i criteri di valutazione. E poi un’eventuale censura in ordine ad essi, permetterà al giudice di valutare se questi criteri sono congrui oppure non sono congrui.  Per fare un esempio concreto di una famosa vicenda giudiziaria che è stata molto commentata su varie riviste, e ha dato luogo tutta ad una serie di problemi, di prese di posizione interessanti, si discuteva della non congruità del rapporto di cambio con riferimento a una fusione di compagnie di assicurazione. Qui il giudice è andato a valutare se i criteri utilizzati fossero congrui con la valutazione del patrimonio di una compagnia di assicurazione. Bene. Il discorso della  congruità dei crieteri di valutazione utilizzati dagli amministratori per valutare il patrimonio e quindi determinare il rapporto di cambio, viene in considerazione anche con riferimento al documento successivo, cioè la Relazione degli Esperti. La relazione degli esperti ha una funzione molto specifica. Art. 2501 sexies: “ Uno o più esperti per ciascuna società devono redigere una relazione sulla congruità del rapporto di cambio”. Quindi la relazione degli esperti, che rappresenta il terzo documento diciamo correlato al progetto di fusione, è semplicemente un parere di congruità del rapporto di cambio.  Poi legislatore più analiticamente dice che gli esperti devono indicara: “ a) il metodo o i metodi seguiti per la determinazione del rapporto di cambio proposto e i valori risultanti dall'applicazione di ciascuno di essi; b) le eventuali difficoltà di valutazione. La relazione deve contenere, inoltre, un parere sull'adeguatezza del metodo o dei metodi seguiti per la determinazione del rapporto di cambio e sull'importanza relativa attribuita a ciascuno di essi nella determinazione del valore adottato”. Quindi la relazione deve in sostanza ripercorrere quelli che sono stati i criteri utilizzati dagli amministratori, ripercorrere l’applicazione dei criteri dei risultati raggiunti e giudicare se questi criteri sono congrui. Bene. Sia  la relazione degli amministratori  ma sia soprattutto la relazione degli esperti hanno come primi destinatari, la relazione degli esperti direbbe come unici destinatari, i soci. La relazione degli amministratori gli pare porsi nell’interesse anche dei terzi e dei creditori per conoscere le ragioni, gli obbiettivi, gli effetti della fusione – del progetto di fusione. Poi laddove vengono indicati i criteri per la determinazione dei patrimoni e quindi i criteri per la determinazione del rapporto di cambio, si tratta di un’azione che interessa i soci; ai creditori non interessa nulla del rapporto di cambio. La relazione degli esperti è quindi un parere di congruità sul rapporto di cambio e quindi un documento che è negli interesse dei soci; cioè è una specie di parere dato da persone qualificate che in sostanza dicono: sì gli amministratori hanno valutato in modo corretto i patrimoni e hanno valutato in modo congruo i patrimoni oppure no e ne indicano le ragioni. Dal fatto che la relazione degli esperti si ponga come strumenti di tutela dei soci, e solo per i soci, si è ricavato da certe opinioni dottrinali, giurisprudenziali non incontrastate, che la relazione degli esperti possa essere esclusa, possa non essere presente se i soci sono d’accordo. Cioè il ragionamento è stato questo: se è nell’interesse dei soci, i soci possono rinunciare a questa relazione. Teniamo presente se parliamo in particolare di società di minori dimensioni, che la relazione degli esperti è un costo e costo non indifferente trattandosi di valutare l’intero patrimonio di più società.  Oggi, non dalla riforma societaria, ma da un intervento più recente, il problema è stato risolto da un intervento legislativo del 2009 con l’introduzione  di un ultimo comma(art. 2501 sexies) che dice: “ La relazione di cui al primo comma non è richiesta se vi rinunciano all’unanimità i soci di ciascuna società partecipante alla fusione”. Quindi oggi il legislatore da atto che la relazione degli esperti è esclusivamente nell’interesse dei soci e quindi i soci possono rinunciare a questo strumento di informazione. Per rinunciare a questo strumento di informazione devono essere d’accordo tutti i soci, quindi questa è una decisione all’unanimità di tutte le società partecipanti. Bene. Il progetto di fusione corredato con la situazione patrimoniale o con l’ultimo bilancio d’esercizio, con la relazione dell’organo amministrativo, con la relazione degli esperti se i soci non hanno rinunciato all’unanimità, devono restare depositati in copia nella sede delle società partecipanti alla fusione. Durante i trenta giorni che precedono la decisione in ordine alla fusione. Bene. Così è esaurita la prima fase del procedimento, prima fase che vede protagonisti gli amministratori. Naturalmente se andate a leggere delle operazioni e delle trattazioni specifiche in tema di fusione, vedrete come in realtà questa fase sia preceduta da una fase anteriore, una pre-fase  perché è chiaro che i progetti di fusione non  “nascono come funghi”: non è che al mattino gli amministratori di una società dicano “ fondiamoci con un’altra”; prima di arrivare a dei progetti condivisi e approvati da tutte le società facenti parte della fusione, ci saranno delle trattative, magari anche delle lunghe trattative tra i vari organi delle società.
La seconda tappa vede protagonisti i soci ed è quella della decisione in ordine alla fusione; qui il primo problema è quello dell’organo competente e delle modalità: valgono le stesse norme che conosciamo in tema di trasformazione, quindi se è una società di persone la decisione deve essere adottata a maggioranza e questo lascia abbastanza perplessi perché è una profonda modificazione del contratto sociale che dovrebbe essere adottata all’unanimità, qua invece è prevista la maggioranza; è possibile ovviamente una clausola in senso diverso; è possibile che il contratto sociale preveda maggioranze qualificate oppure unanimità; tuttavia se la decisione è adottata a maggioranza i soci non consenzienti hanno diritto di recesso. Se è una SpA la deliberazione spetta all’assemblea ordinaria, se è una Srl non esistendo l’assemblea straordinaria spetta all’assemblea con maggioranze particolari che poi in sostanza è una sorta di assemblea straordinaria.
Un problema che si è posto, e che il legislatore ha risolto in modo enigmatico, e a cui il  rof non saprebbe dare delle soluzioni in concreto un po’ tranquillizzanti, è questo: qual è il rapporto tra la decisione in ordine alla fusione e la decisione in ordine al progetto di fusione.
Immaginiamo tre società: Alfa incorpora Beta e Gamma; qui avremmo tre progetti di fusione, naturalmente con contenuti correlati ed avremo quindi tre deliberazioni dell’assemblea. A prima vista si dovrebbe dire che l’assemblea ha solo un potere di si o di no, cioè di accettare e approvare il progetto di fusione oppure no; è chiaro che affinchè la fusione possa avere atto è necessario che tutte le assemblee, tutte le decisioni dei soci siano nel senso dell’approvazione. L’ulteriore problema è se si possa o meno modificare il progetto di fusione: tale modifica, se ammissibile, deve essere parallela e cioè devono essere tutte le assemblee a prevedere la stessa modificazione, ed il legislatore con una norma enigmatica dice che “la decisione di fusione può apportare al progetto di fusione solo le modifiche che non incidono sui diritti dei soci o terzi”e il prof francamente dice che non ha capito quali possano essere le modifiche che non vanno ad incidere sui diritti dei soci o dei terzi. La decisione in ordine alla fusione è poi sottoposta a pubblicità nel registro delle imprese.
A questo punto abbiamo esaurito le prime due fasi: abbiamo un bel progetto di fusione approvato dall’organo amministrativo, ed abbiamo un bella decisione favorevole al progetto di fusione approvato dai soci delle assemblee delle società partecipate.
A questo punto si apre uno spazio, una pausa di meditazione in riferimento ai creditori: la fusione può essere attuata solo dopo sessanta giorni dall’iscrizione della decisione in ordine alla fusione. Quindi una volta intervenuta la decisione in ordine alla fusione e tante decisioni quante sono le società partecipate e le relative pubblicità, si apre questa pausa di riflessione, questo periodo di sessanta giorni in cui non può essere data attuazione alla fusione, e questo periodo è a disposizione dei creditori che possono fare opposizione. I creditori che si ritengano pregiudicati dalla operazione di fusione, e cioè al fatto che in questo modo si mettano insieme ad esempio patrimoni con forte passivo e poco attivo e si vadano così a creare situazioni di forte pregiudizio per i creditori, possono fare opposizione e bloccare l’operazione. Il prof non va qui a spiegare tutti i profili processuali di questa opposizione.
Immaginiamo che nessun creditore faccia opposizione: le società sono tutte in buono stato di salute, passa questo periodo di meditazione di sospensione e a quel punto arriviamo all’atto finale, l’atto di sospensione. È un atto abbastanza curioso perché è un atto tanto importante dal punto di vista del procedimento, quanto assolutamente del tutto privo di contenuto sostanziale perché l’atto di fusione ha un’importanza dal punto di vista formale, ma non può aggiungere nulla, può soltanto prendere atto che sono stati approvati i progetti di fusione dai soci e dalle assemblee dei soci e che sono decorsi i sessanta giorni senza opposizione. A quel punto interviene l’atto di fusione che è un atto pubblico, a cui partecipano i rappresentanti legali e quindi per esempio i presidenti delle varie società interessate. L’atto di fusione è redatto dai vari rappresentanti delle società, i quali danno atto che ogni società ha posto in essere le due tappe fondamentali: progetto di fusione ed approvazione del progetto di fusione. È un atto pubblico,notarile e deve essere iscritto nel registro delle imprese perché è l’atto che chiude il procedimento: è l’atto a cui partecipano i legali rappresentanti di tutte le società interessate alla fusione, e il momento finale è dato dall’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di fusione; quello è normalmente il momento a decorrere del quale si verificano gli effetti della fusione: la fusione si verifica in quel momento.
Vediamo ancora velocemente gli ultimi due profili: 1) gli effetti della fusione; 2) le fusioni semplificate.
-sugli effetti della fusione la regola documentale è che la fusione ha effetto a partire dall’iscrizione dell’atto di fusione nel registro delle imprese. La società che risulta dalla fusione o società incorporante assume tutti i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione.
Il primo effetto della fusione è quindi la prosecuzione di tutti i rapporti delle società partecipanti alla fusione –nel vecchio testo si diceva delle società estinte, adesso si dice delle società partecipanti- .
Il legislatore poi precisa meglio qual’ è il momento a partire dal quale la fusione ha effetto: si dice che la fusione ha effetto a partire dall’iscrizione dell’atto di fusione nel registro delle imprese; qui si semplifica un po’ il discorso perché possono esserci più iscrizioni nel registro delle imprese e allora ha effetto l’ultima, però diciamo per semplicità dall’iscrizione nel registro delle imprese.
Però può esserci la possibilità di anticipare o posticipare questi effetti: è possibile stabilire una data successiva in caso di fusione mediante incorporazione, e cioè ad esempio se la fusione è avvenuta il primo ottobre si può stabilire abbia effetto a partire dal primo gennaio  dell’ anno successivo, è possibile quindi spostarne in avanti gli effetti. In questo caso le società incorporande e l’incorporante ci sono già; nel caso di fusione con l’insorgere di una nuova società però non è possibile spostare in avanti l’effetto di fusione.
È possibile retrocedere, quindi spostare prima ancora della pubblicità dell’atto di fusione alcuni effetti della fusione, quindi è possibile anticipare alcuni effetti della fusione che però sono effetti che riguardano solo i soci e cioè la partecipazione agli utili e gli effetti sotto il profilo contabile.
Il legislatore poi si occupa – cosa di cui il prof non ci parla- degli avanzi e disavanzi di fusione.
Infine si prevede una norma dal contenuto sostanzialmente identico a quella prevista per la trasformazione, e cioè nel caso in cui si abbia una fusione che comporti il venire meno della responsabilità illimitata dei soci, questo non vale per le obbligazioni contratte prima del momento in cui la fusione abbia effetto. La fusione attuata mediante costituzione di nuove società di capitale ovvero mediante incorporazione di una società di capitali non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità delle rispettive obbligazioni delle società partecipanti alla fusioni anteriori all’iscrizione dell’atto di fusione.
Qui vale la pena fermarsi un attimo ad analizzare i rapporti tra fusione e trasformazione, perché noi possiamo avere una fusione omogenea-  ma attenzione a non confondere questa formula con trasformazione omogenea! - qui quando parliamo di fusione omogenea il senso è diverso, cioè  noi possiamo avere una fusione in cui tutte le società partecipanti siano dello stesso tipo: ad esempio una Srl incorpora due Srl. Abbiamo invece una fusione non omogenea o eterogenea nel caso in cui le società partecipanti o la  nuova società siano di tipo diverso: immaginate il caso in cui una Srl sia incorporata da una SpA, oppure il caso in cui due Srl si fondano e diano origine ad una SpA; allora in questo caso abbiamo una fusione ma anche una trasformazione; nel caso in cui una Srl sia incorporata da una Spa abbiamo una trasformazione dell’Srl in SpA, poi viene incorporata; così se due Srl costituiscono una SpA, abbiamo oltre una fusione anche una trasformazione ed in questo modo si applicano le due discipline con qualche problemino; vedete che in questi casi il legislatore con riferimento alla responsabilità applica la disciplina della trasformazione e dice che, se in seguito alla fusione si verifica anche un effetto trasformativo e viene meno una responsabilità di tutti o di alcuni soci, questo vale solo a partire dal momento in cui l’effetto fusione si è realizzato; per le obbligazioni nate prima che si sia verificato l’effetto fusione vale sempre la responsabilità illimitata.
Ancora un brevissimo cenno alla invalidità della fusione, qui il prof non può che ripetere ciò che già cercava di dire prima e cioè che il fatto che esiste una prima fase in cui è possibile fare valere l’azione invalidante, e una seconda fase in cui tale azione non si usa perché qui abbiamo una deliberazione di fusione e poi una sospensione di sessanta giorni, poi l’atto di fusione e l’iscrizione; esiste quindi un intervallo di almeno sessanta giorni che consente l’utilizzo dell’azione invalidante e quindi l’impugnativa della deliberazione di fusione: si consente così spazio sufficiente per ottenere una sospensione da parte del giudice dell’operazione di fusione.
2)Ultimo tema brevemente è quello delle fusioni semplificate; qui il prof ci semplifica la vita, parlando di un caso solo di fusioni semplificate; gli altri due casi che restano sono più rari e abbastanza aggrovigliati.
Si parte del caso delle fusioni in cui non partecipano società con capitale rappresentato da azioni, quindi fusioni a cui non partecipano SpA o Sapa; qui sono previste tutta una serie di semplificazioni; per il prof basta che si sappia che esiste questa tipologia con semplificazioni ma queste non le chiede perché è tutto un lungo noiosissimo elenco di nome in cui si dice che determinati commi non si applicano.
Poi il legislatore della riforma ha introdotto un secondo tipo di fusione semplificata abbastanza strana – il prof nella spiegazione sta andando a ritroso- era prevista dal legislatore comunitario ma non era prevista prima dal codice civile, si tratta di fusione con società partecipata al 90%, quindi Alfa partecipa almeno al 90%  al capitale di Beta e Alfa incorpora Beta ; è una ipotesi di semplificazione così complicata che non vale la pena di ricordarla.
Invece ipotesi importante e frequente è quella di incorporazione di società totalmente partecipata; quindi Alfa partecipa in Beta al 100% e Alfa incorpora Beta; è un’ipotesi di fusione che dal punto dei vista dei soci non determina grosse conseguenze, per non dire che non determina conseguenza alcuna perché i soci di Alfa già possiedono Beta; nella sostanza è accaparrare qualcosa che nella sostanza già appartiene ad Alfa interamente; questo discorso ovviamente è diverso per i creditori: questo tipo di fusione sarà altrettanto pericoloso per i creditori in quanto nulla esclude, trattandosi di società di capitali, che Alfa sia una società in ottima salute e Beta sia una società sull’orlo del fallimento o viceversa. È una fusione semplificata per questo motivo: qui non esiste rapporto di cambio; Alfa è costituita da certi soci, supponiamo che sia costituita da 1, 2,3, 4…soci fino ad 10; Beta ha come unico socio Alfa; una volta che Alfa ha incorporato Beta, i soci continuano ad essere quelli di Alfa; nel caso di incorporazione di una società totalmente partecipata non esiste nessun rapporto di cambio, con la conseguenza che giustamente il legislatore elimina per necessità di cose tutte le norme relative al rapporto di cambio che quì non esiste e che quindi non avrebbe senso.
Alla fusione per incorporazione di una società che detiene tutte le quote dell’incorporata non si applicano una serie di disposizioni, e precisamente non si applicano le disposizioni relative al progetto di fusione che riguardano appunto l ‘indicazione del rapporto di cambio, e non si applicano le disposizioni relative alla relazione degli esperti perché non esiste una relazione degli esperti perché appunto non esiste un rapporto di cambio.
Tra l’altro il discorso potrebbe essere esteso ad altre ipotesi, perché questo è il caso classico dell’assenza del rapporto di cambio, ma possono verificarsi altre ipotesi in cui non esiste il rapporto di cambio, e anche in questo caso la relazione degli amministratori e il progetto di fusione  non possono parlare del rapporto di cambio e la relazione degli esperti non ha ragione d’essere.
Pensate a questo caso: la società Alfa costituita dai soci X ,Y, Z e J  al 25% ciascuno, si fonde con la società Beta costituita dagli stessi soci con le stesse percentuali : è chiaro che a questo punto sia che si tratti di fusione per incorporazione o di incorporazione in una nuova società rimangano sempre soci soltanto quei quattro soci in quella stessa percentuale del 25%.
Anche in questo caso non avrebbe senso parlare di un rapporto di cambio e verificare la congruità di qualcosa che non esiste.
Per chiudere il discorso il prof vuole ancora accennare al tema della scissione e poi dedicare due parole alla liquidazione e allo scioglimento della società, anche se non si tratta di operazioni straordinarie. Anche questo caso può essere però considerato come un momento particolare e straordinario della vita della società.

Tratto da DIRITTO COMMERCIALE di Andrea Balla
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