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L'insolvenza dell'imprenditore

Pertanto siamo di fronte ad una legge speciale che al verificarsi di un dato presupposto oggettivo quale l'insolvenza, obbliga l'imprenditore a percorrere una strada prefissata. Questa legge trova i suoi limiti nel fatto stesso che è nata per tutelare una sola categoria di soggetti: i creditori. Di fronte alla crisi, dunque, l'imprenditore si trova ad affrontare il fallimento inteso quale procedura punitiva o nel migliore dei casi disgregativa , il tutto sulla base presupposto oggettivo dell'insolvenza intesa come capacità di far fronte alle proprie obbligazioni. La vecchia legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 numero 267) non faceva altro che aggrovigliare l'impresa su se stessa perché per evitare l'insolvenza l’imprenditore faceva di tutto anche vendere dei beni dell'impresa ad un prezzo vile e quindi accelerando il cammino verso la disgregazione. Fino alla riforma del 2006 c’era un sistema che pur assumendo quali principi base:
- il concorso
- La par condicio creditrum
era caratterizzato da:
- elevati costi
- rigidità procedurali
- allungamento dei tempi
- scarsa soddisfazione di creditori
- procedura solo disgregativa.

Nel 1999 queste procedure di insolvenza, disgreganti, diventano tali da terrorizzare la politica, in quanto in altre imprese di medio-grandi dimensioni la politica non può permettersi la disgregazione.

Tratto da DIRITTO FALLIMENTARE di Salvatore Busico
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