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Art. 2621 - Comma 1

Salvo che il fatto costituisca reato più grave, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire due milioni a venti milioni:
i promotori, i soci fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali, fraudolentemente espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società o nascondono in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni medesime.
Nella previsione del 1942 le false comunicazioni sociali sono un delitto punito con la pena della reclusione piuttosto cospicua e con una pena pecuniaria. Questa è una caratteristica che il nostro sistema con la riforma del 2002 ha abbandonato. Sono rimaste solo le pene detentive, le pene pecuniarie sono sparite dai reati societari. Inoltre i livelli di pena detentiva rimasti sono stati fissati su livelli significativamente più bassi rispetto a quelli della norma del 1942.
La norma puniva una serie di soggetti attivi per avere esposto fraudolentemente dei fatti non rispondenti al vero. I soggetti attivi di questo reato lo realizzano semplicemente facendo qualcosa senza che sia necessario che da questa loro condotta derivi un evento di danno. La condotta del reato qui è esporre fraudolentemente fatti non rispondenti al vero. L’aver escluso dall’ambito di rilevanza del reato il verificarsi di un danno fa si che il legislatore abbia puntato all’epoca a tutelare in se e per sé la trasparenza delle comunicazioni sociali. Quindi ha deciso di adottare un modello di tutela pubblicistico. I falsi in bilancio possono essere bidirezionali: possono servire a far sembrare più florida una società che florida non è, e a far sembrare meno florida una società che invece lo è molto di più. Solo una di queste tipologia può risolversi in un danno per qualcuno: quella nella quale faccio sembrare la società più ricca di quello che è. Viceversa se faccio risultare nelle mie comunicazioni sociali una realtà peggiore di quella che sto vivendo in realtà, una cosa del genere non crea danni patrimoniali, porta al massimo a minori introiti per gli azionisti, eppure nell’architettura della norma del 1942 anche questi ultimi falsi erano puniti, perché il sistema che il legislatore aveva previsto non era volto a tutelare il patrimonio, ma la correttezza delle comunicazioni sociali. Il legislatore con la riforma del 2002 ha cambiato idea sul punto.
La norma veniva accusata di essere una norma scarsamente tassativa dal punto di vista della tipicità, scarsamente precisa. La norma era considerata avere una portata troppo generica.
Esempio: se sono una società che produce auto, e scrivo nel mio bilancio di averne vendute 2 milioni, ma in realtà ne ho vendute 1 998 990, ho esposto fraudolentemente dei fatti non rispondenti al vero:
Se valuto il mio magazzino 100, invece secondo il consulente tecnico del Pubblico Ministero il magazzino vale 50 perché è pieno di prodotti obsoleti, espongo fraudolentemente fatti non rispondenti al vero:
L’avverbio fraudolentemente che significato ha: È necessario che chi agisce voglia trarre in inganno i lettori del bilancio, o è sufficiente che questo soggetto sappia che il magazzino è sovrastimato perché possa essere considerata fraudolenta la sua azione:
La Giurisprudenza ha chiarito questi punti che la norma non chiariva. In particolare non si riusciva quasi mai a stabilire in anticipo se certe condotte fossero esposizioni di fatti non rispondenti al vero.

Tratto da DIRITTO PENALE COMMERCIALE di Valentina Minerva
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