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Comunità vegetale

La comunità vegetale un insieme di specie vegetali che occupano uno spazio definito e sono tra loro interagenti (attraverso competizione); si trovano a convivere perché hanno esigenze ecologiche simili.
Lo studio delle comunità ci permette di ricavare un quadro generale sull’ambiente. È importante la storia del territorio, cosa l’uomo ha fatto prima. Ci sono due aspetti gestionali: aspetto agro-silvopastorale e aspetto urbanistico-industriale.
L’agricoltura e l’attività forestale hanno come premessa in Europa la sostenibilità degli interventi. L’attività urbanistica, invece, va a modificare in maniera irreversibile l’ambiente.

Studio della vegetazione

Prende in considerazione contemporaneamente gli aspetti qualitativi (che si basano sulle specie) e quantitativi; tanti metodi diversi per risultati diversi:
• Metodo fisionomico-strutturale;
• Metodo dei punti sulla linea;
• Metodo dei quadrati o dei cerchi (Metodo di Raunkiear);
• Metodo della biomassa per le singole specie;
• Metodo fitosociologico.

È importante la fisionamia della comunità. L’interazione tra i vegetali può essere più o meno accentuata. Gli elementi nutritivi vengono ridistribuiti dalle ife fungine che collegano più individui, anche di specie diverse, quindi le simbiosi avvicinano ancora di piuù i diversi individui della comunità.
Le praterie al di sotto di una certa quota sono provocate dall’uomo, così come il bosco, molto spesso, è il prodotto della gestione antropica, ad esempio i boschi cedui dove si sfrutta la capacità pollonifera delle specie per avere un migliore reddito distribuito nel tempo.
Vigneti e terrazzamenti modificano il paesaggio e le comunità. L’abbandono comporta una modifica della comunità vegetale con ricolonizzazione da parte di specie arbustive e arboree.
La comunità vegetale determina e descrive l’ecosistema in tutte le sue componenti e ci permette di tipificare l’ecosistema. Descrivo l’ecosistema in base alla vegetazione presente che, a sua volta, è descritta dalla comunità nel suo complesso.

Metodi fisionomico-strutturali

L’Unione europea si serve di due strumenti di studio delle comunità: Corine-landcover, che è una descrizione degli habitat sulla base della loro fisionomia; l’altro strumento si chiama Corine-byotops e analizza meglio i tipi vegetaionali.

Aspetti fisionomici secondo Corine Landcover:

• Foresta (maggiore vulnerabilità), bosco (minore vulnerabilità);
• Arbusteti (non più alto di 3-4 m dal suolo);
• prateria (formazione erbacea), torbiera;
• vegetazione costiera;
• detriti e rocce (fisionomia più sparsa);
• acque dolci;
• zone agricole e paesaggi artificiali (molto trasformati e senza copertura).

Per ognuna di queste categorie ci sono delle sottoclassi che tipificano meglio l’ecosistema.

Quando si esegue un’analisi fisionomica:

• Ampi territori (fotografie aeree e satellitari);
• Mancanza di tempo e risorse;
• Mancata conoscenza della flora;
• Confronto con cartografia del passato (ad esempio, Catasto Napoleonico);
• Necessità di conoscere parametri fisiologici (fitomassa);
• Analisi della diversità paesaggistica (studio del paesaggio, carta strutturale-fisionomica, carta fisionomica-floristica).

Cosa è possibile fare sulla base della fisionomia:

• Carte fisionomiche della vegetazione
• Analisi della biomassa
• Analisi di diversità paesaggistica
• Confronti su ampia scala
• Confronti climatici

Si possono condurre analisi strutturali, ovvero’ la disposizione spaziale delle specie in strati:

• Strato arboreo: alto e basso
• Strato arbustivo: alto e basso
• Strato erbaceo

Scelta dell’area di saggio:

• Omogeneità ambientale dell’area di saggio
• Rappresentatività dell’area di saggio
• Differenziazione dell’area di saggio dalle altre aree
• Individuazione dell’ecosistema da campionare (su base fisionomica).

La disposizione spaziale mi può dire qualcosa sulla biodiversità, infatti più sono gli strati e più alta è la biodiversità.

Metodo dei punti sulla linea

Un filo con punti in corrispondenza dei quali si utilizza un ago da calza e si rilevano le entità
che toccano l’ago; fornisce dati quantitativi e qualitativi. Ottengo un elenco floristico, le percentuali delle specie dominanti e quanto una specie è più dominate rispetto ad un’altra. Posso calcolare indici di biodiversità, che possono essere ecologici (Ellemberg). Posso rilevare se sono presenti specie endemiche, alloctone e quali sono i corotipi dominanti.

Metodo dei quadrati o dei cerchi (Metodo di Raunkiear)

In un’ area campione si rilevano le specie presenti in cerchi di 1/10 di m2 di superficie, che vemgono posizionati a distanza costante. Anche con questo metodo ottengo dati quantitativi sulle specie.

Metodo della biomassa

Si può fare dividendo le singole specie e calcolando la biomassa di ciascuna; il riferimento deve essere fatto sempre all’unità di misura di superficie.
A livello di comunità ci interessa quanta biomassa è presente in un determinato momento o prodotta in un anno. Possiamo fare questo discorso in relazione al carbonio: quanto carbonio resta presente per un determinato tempo. Il carbonio immagazzinato viene trasformato in zuccheri e utilizzato per diverse attività.  Energia fissata durante la fotosintesi prende il nome di produttività primaria che si divide in produttività primaria lorda (GPP – ovvero la produttività senza contare la respirazione) e in produttività primaria netta (PPN – ovvero la PPL meno la respirazione). L’unità di misura è g di sostanza secca per m2 per anno.
Produttività significa produzione in un determinato intervallo di tempo. Dipende dagli ecosistemi, ci sono tempi diversi della fotosintesi in base all’ecosistema in cui ci troviamo.
Si può lavorare anche con la biomassa permanente, che è la materia organica presente in un determinato momento (g/m2). Prendo la biomassa presente in 1 m2 e la faccio essiccare in stufa ottenendo la biomassa secca.
Sono tutti parametri distintivi e non si utilizzano per il bosco, ma esistono altri parametri.
Si può calcolare la biomassa a inizio stagione e fine stagione: PPN = BP+2 – BP+1.
Si calcola sempre la biomassa epigea perché è più facile da rilevare. I campionamenti devono fornire dati elaborabili statisticamente.
Relazione tra produttività primaria netta e durata della stagione vegetativa: maggiore è la durata della stagione vegetativa e maggiore può essere la PPN.
I fattori che influenzano la biomassa sono:
• Temperatura, acqua, luce, CO2, nutrienti, durata stagione vegetativa;
• Specie presenti;
• Percentuale di copertura vegetale.

Prelievi di biomassa ipogea: cilindri di volume noto che mando in profondità nel suolo; separo la parte organica con l’elutriatore; valuto il peso di sostanza secca per volume e si specifica la profondità; trovo la lunghezza delle radici per unità di superficie; si possono fare anche analisi dell’immagine tramite software.
LAI: indice dato dal rapporto dei cm2 di foglie su cm2 di suolo; ho un numero adimensionale; maggiore è la superficie fogliare e maggiore è la capacità fotosintetica.

Metodo fitosociologico

Si basa sul concetto di associazione vegetale: l’associazione vegetale è un insieme di specie che si ripete più volte sul territorio e che indica, con la sua combinazione floristica caratteristica, un’ecologia definita e costante. Sulle base di questa definizione sono state definite delle associazioni (in Italia oltre il 90%). È stato adottato come base dalla direttiva “Habitat” per tipificare gli ambienti. Se voglio tipificare una comunità vegetale devo andare nel mezzo e in un’area abbastanza grande. Bisogna indicare le caratteristiche stazionali.

Scelta dell’area per i rilievi

Scegliere un’area campione omogenea e di superficie sufficiente a rappresentare l’intera comunità.

1) Metodo dell’area minima

Indicare le caratteristiche stazionali:
- Località
- Quota
- Esposizione
- Inclinazione
- Superficie rilevata

Serve per sapere quanto devo campionare. Si parte da 1 m2 e rilevo il numero delle piante, poi raddoppio la superficie e vedo quali specie devo aggiungere e così via: normalmente dovrebbe venire fuori un grafico che è sempre simile se ho scelto un’area omogenea. Individuo il punto di flesso della curva, che corrisponde alla superficie sufficiente da rilevare per descrivere la comunità (per esempio, a 4 m2 ho 23 specie su un totale di 25, il che è sufficiente).
Vado poi a lavorare dal punto di vista strutturale (strato erbaceo, ecc…) e a stimare a occhio la percentuale di superficie coperta dallo strato. Esistono degli schemi in alternativa della stima a occhio, che può presentare delle difficoltà.
Danni potenziali → per esempio, siamo in vicinanza di un centro abitato.

2) Rilevamento fitosociologico

- Copertura arborea %
- Copertura arbustiva %
- Copertura erbacea %

Di ciascuna copertura elencare le specie e poi dare a ciascuna specie la % di copertura relativamente a 100.
La copertura dello strato arboreo può essere fatta proiettando la chioma al suolo, così come per lo strato arbustivo. Per lo strato erbaceo considero tutte le specie che combattono per quello strato, anche se di forma legnosa.
Devo assegnare la percentuale di copertura ad ogni singola specie e la somma deve essere 100 anche se la copertura totale non è del 100 %. Faccio questo perché poi trasformo le percentuali di copertura in indici di abbondanza-dominanza di Brown-Blanquet: in questo modo si cerca di ovviare alla soggettività del rilevamento.

Trasformazione delle percentuali di copertura in indici di abbondanza –dominanza:
+ specie presente
1 copertura reale da 1 a 5%
2 copertura reale da 6 a 25%
3 copertura da 26 a 50%
4 copertura da 51 a 75%
5 copertura da 76 a 100%

Classificazione delle specie in un rilievo

- Specie discriminanti: - differenziali
Specie discriminanti  - caratteristiche  esclusive, elettive, preferenziali
- Specie compagne
- Specie casuali

Specie discriminanti

Per identificare un’associazione come diversa da un’altra è necessario che differiscano per un buon numero di specie che vengono dette specie discriminanti che devono essere presenti tutte o quasi in ciascun rilievo di una delle associazioni e non nell’altra. Esse rappresentano le differenze floristiche ed ecologiche che intercorrono fra le diverse associazioni.

Specie differenziali

Sono quelle che distinguono un’associazione da un’altra in un confronto binario; esse variano di numero a seconda del confronto effettuato: se si tratta di associazioni vicine fra loro le differenziali saranno poche, al contrario in associazioni molto distanti.

Specie caratteristiche  

Sono più o meno esclusive e distinguono un’associazione da tutte le altre individuabili nel territorio in studio. Per individuare l’associazione devo individuare le specie caratteristiche, che sono quelle che indicano la presenza di un’associazione
Specie caratteristiche di tipo assoluto
(Ozenda): sono limitate ad una sola associazione rispetto a tutte quelle che possono essere individuate nell’ areale di tali specie. Sono molto rare a livello di associazione, più frequenti in categorie vegetazionali più ampie. Nell’ambito delle caratteristiche, si possono distinguere vari gradi di fedeltà:
Specie esclusive = legate esclusivamente o quasi ad una determinata associazione
Specie elettive = che mostrano una preferenza marcata per un’associazione ma possono raramente essere presenti in una o più altre
Specie preferenziali = che compaiono più o meno frequentemente in alcune associazioni vicine

Specie compagne

Se non hanno alcun marcato legame di associazione.

Specie casuali

Se provengono da altre associazioni o sono residui di associazioni precedentemente presenti sul territorio.

Nell’associazione vegetale vi sono specie caratteristiche, cioè specie che crescono solo in quell’associazione. Le specie possono essere caratteristiche di associazione e poi, a livelli di significatività ecologica sempre meno elevata, sono caratteristiche di alleanza, ordine, classe.
Più associazioni si inquadrano in un’alleanza;  più alleanze si inquadrano in un ordine; più ordini si inquadrano in una classe. Quindi un’alleanza riunisce associazioni simili tra loro, un ordine alleanze simili e una classe ordini simili.

Tratto da ECOLOGIA VEGETALE - FITOSOCIOLOGIA di Marco Cavagnero
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