Skip to content

Metodi sierologici di studio dei virus

Per saggiare su cellule bersaglio l'infettività di molti virus, spesso si aggiungono ad una preparazione virale degli anticorpi in metodi chiamati metodi sierologici, perché appunto si basando sullo studio delle reazioni antigene-anticorpo

Anticorpi prodotti contro un dato virus possono inibire l'interazione tra il virus stesso e il recettore cellulare oppure possono evitare che il virione liberi il suo genoma e lo metti a disposizione della cellula ospite, in maniera tale da neutralizzare l'infettività del virus stesso e per questo sono detti anticorpi neutralizzanti. Altri anticorpi possono, invece, reagire con il virus senza tuttavia interferire con la sua capacità di infettare, quindi si dice che questi anticorpi non hanno capacità neutralizzante. Le reazioni di neutralizzazione avvengono sia in vivo così come in vitro. I saggi di neutralizzazione sono stati molto utili anche per la definizione dei sierotipi virali. La definizione di quest'ultimi è importante per la classificazione e nello sviluppo dei vaccini, infatti per generare un vaccino efficace si dovrebbero includere tutti gli esempi dei sierotipi di un dato virus (ad esempio nel virus della poliomelite abbiamo 3 sierotipi diversi e un vaccino adeguato dovrebbe coprire tutti gli individui e quindi tutti i sierotipi del virus). 
Il primo test che si riscontra nei metodi sierologici è il test di inibizione dell'emoagglutinazione, che verifica la presenza di anticorpi neutralizzanti. Questo metodo mette in evidenza gli anticorpi in grado di reagire con gli antigeni virali responsabili dell'emoagglutinazione. Infatti campioni di eritrociti sono miscelati con quantità note di virus e varie diluizioni del siero da saggiare. La presenza di anticorpi specifici per il virus verrà evidenziata dall'inibizione all'emoagglutinazione, sarà inoltre possibile stabilire un titolo anticorpale (anche se non accuratissimo) determinato in base alle diluizioni di siero che non è più inibente. Quindi il titolo anticorpale di un siero corrisponderà alla più alta diluizione in grado di inibire l'emoagglutinazione. Nel caso in figura 3200 unità inibenti l'emoagglutinazione.
Un altro metodo per identificare un antigene virale direttamente sul campione (in situ), evitando l'isolamento e la coltivazione del microrganismo stesso, è l'immunofluorescenza. Gli anticorpi possono venire legati covalentemente a coloranti fluorescenti come la rodamina B che conferisce una fluorescenza rossa. Tale modificazione non altera la specificità dell'anticorpo e, al contempo, rende possibile rilevare l'anticorpo legato ad antigeni superficiali di cellule o di tessuti osservati al microscopio a fluorescenza. Infatti quando eccitate alla luce a una particolare lunghezza d'onda, le cellule ricoperte da anticorpi emettono una brillante fluorescenza. Esistono due diverse procedure che utilizzano anticorpi a fluorescenti: il metodo diretto e il metodo indiretto. Nel metodo diretto, l'anticorpo specifico per l'antigene di superficie è covalentemente legato al colorante fluorescente. Nel metodo indiretto, la presenza di un anticorpo non fluorescente sulla superficie della cellula è rilevato da un anticorpo fluorescente diretto contro l'anticorpo non fluorescente.

Tratto da ELEMENTI DI VIROLOGIA MOLECOLARE di Domenico Azarnia Tehran
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo riassunto in versione integrale.