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Ruolo dell'udito nella narrazione greca antica



Esser storico non significa più dire cio che si è visto, ma interrogarsi sul visibile e le condizioni di visibilità. Poi anche lo sguardo è raccordato a un sistema, così lo sguardo nota alcune cose e altre no. Nelle storie l'invisibile pare penetrare il visibile.... Dopo l'”ho visto (òpsis)” viene il “io ho udito”. Altra modalità del narratore di intervenire nel racconto. Quando non è possibile vedere si puo udire. Akoè significa mi sono informato, ho indagato tra chi ha visto di persona...comporta vari livelli. 1:non ho visto ma io stesso ho udito. 2: aumentano gli intermediari. 3: un akoè che rinvia al sapere di sapienti, come i sacerdoti egizi; 4: “si dice”, impersonale. La distinzione opsis  / akoè è anche in marco polo, che parla di udire da persone degne di fede. Secondo tucidide il sapere storico si fonda anzitutto sull'occhio, ma l'akoè non ha valore di verità = il passato non si puo conoscere con certezza.  Ma cosa rende credibile l'”ho udito” di Erodoto? Il fatto che si trovi in un mondo in buona parte orale. È la Grecia del V sec a.C., dove si scrive ma la cultura orale domina. Erodoto faceva pubbliche letture della sua opera. Opera che proviene in parte dal mondo dell'oralità, rivolgendosi più a un ascoltatore che a un lettore, con la tecnica della composizione circolare e argomenti che sembrano voler incitare dibattiti. L'apertura delle storie, con il termine apòdexis (esposizione) rinvia al mondo dell'oralità. Erodoto è dunque un rapsodo e il prologo delle storie vuole convocare la tradizione epica e rivaleggiare con essa, ma anche prenderne le distanze per dire che non è la dea a cantare, ma Erodoto di Turi.

Tratto da ERODOTO, IL PADRE DELLA STORIA? di Dario Gemini
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