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SPAZIO



L’identificazione della natura con l’arte dello spazio per eccellenza ha una genesi antica, e occorre non dimentica la specificità dell’esistenza umana è la messa in atto di una separazione di un kosmos sicuro da un chaos insicuro.
Lo spazio architettonico ha genesi da una necessità di ordine fondato su una serie di questioni essenziali ovvero la relazione tra la costruzione ordinata umana e la natura e la composizione della forma che è la dimensione estetica che deve essere interrogata nella sua relazione con la bellezza e la funzionalità.

Con l’arte figurativa, e quindi spaziale, posso rappresentare un solo istante non una scena come invece potrei fare con un poema, ovvero un’arte temporale.
Nel caso di arte figurativa, prima di mettere in campo le abilità tecniche è necessario compiere una scelta a priori capitale ovvero la dell’istante migliore, il fatto di poter rappresentare un solo istante costituisce un limite interpretativo a differenza delle arti che si svolgono nel tempo (fotografia=arte dello spazio vs. cinema = arte del tempo).

Cassier avverte che la storia occidentale è caratterizzata da uno spostamento della nozione di spazio da un’idea di forma stricto sensu, ovvero che viene percepito attraverso i sensi e con la quale si interagisce, a un’idea di forma lato sensu, ovvero che viene percepito attraverso i sensi ma con la quale si interagisce.
Si può notare il fatto che gli antichi rappresentano uno spazio discontinuo e ciò che ne risulta è un disegno che sembra sproporzionato mentre i moderni si dimostrano in grado di gestire la massa e il vuoto rappresentando cosi uno spazio continuo, questo è possibile grazie alla geometria di Cartesio, il quale introduce un criterio geniale che consiste nell’integrazione del concetto di spazio con il concetto di numero e quindi ogni punto dello spazio, a prescindere che sia un vuoto o una massa, è relazionato con un numero.
Dopo Cartesio lo spazio non è più costituito dalle masse ma è dato dalla relazione insolubile tra le masse e i vuoti.

Panofsky, storico dell’arte, ritiene che si possa considerare la prospettiva quattrocentesca una sorta di anticipazione artistica del lavoro scientifico e filosofico di Cartesio riferito alla nozione di spazio continuo.
La specificità essenziale della nozione moderna di spazio che si radicalizza è la sua continuità e in architettura la nozione di vuoto viene superata nel senso che ciò che c’è tra due spazi non è più un vuoto ma anch’esso uno spazio anche se non concreto ma comunque un oggetto architettonico che l’architetto deve sapere gestire.

Lessing, filosofo tedesco settecentesco, separa le arti dello spazio dalle arti del tempo ritenendo che le prime sono figurative e colgono un solo istante mentre le seconde sono letterarie e colgono una durata, questa distinzione sottolinea un’altra specificità ovvero le arti dello spazio sono statiche mentre quelle del tempo sono dinamiche.
L’architettura è un’arte dello spazio ed è caratterizzata dal grado massimo di staticità e la sua spazialità sembra essere una specie di limite nel senso che la concretezza, la matericità e la pesantezza sono viste come limiti della sua capacità di significare.

Schopenhauer, filosofo sette-ottocentesco, afferma che lo spazio architettonico non comprende soltanto le masse ma anche la luce e quindi lo spazio assume un’articolazione più complessa in quanto diventa l’unione insolubile di oggetti che hanno un peso e oggetti che non hanno un peso.
Lo spazio atmosferico, esemplificato dalla luce, contribuisce a dare uno spazio esistenziale di qualità al suo fruitore.
Egli ritiene inoltre che sia cruciale in architettura la relazione tra l’apparenza e la realtà ovvero tra la cosa che l’oggetto sembra essere e la cosa che l’oggetto è infatti poiché l’architettura non è un oggetto di interazione passiva ma è un oggetto di interazione attiva non basta che una casa sembri una casa perché è essenziale che una casa sia una casa per poter soddisfare i bisogni dell’uomo.

Quesito che lasciano Lessing e Schopenhauer:
→ l’architettura è un’arte dello spazio e non ha alcuna relazione con il tempo? e quindi l’architettura lavora a corpi, cioè a istanti, e non ad azioni, cioè a durate?
Nel corso del Novecento vengono formulate diverse risposte a questi quesiti aventi a che fare con la dimensione temporale dell’architettura.

Riegl, storico dell’arte, continua a considerare l’architettura l’arte dello spazio e ritiene che il compito dell’architettura consiste nella creazione dello spazio (chiuso) come tale e nella creazione dei suoi contorni.

Schmarsow, storico dell’arte, ritiene che la concentrazione sullo spazio interno e non esterno dell’architettura significa concentrarsi sullo spazio esperito dall’essere umano che è quindi uno spazio corporeo ma anche psicologico e quindi la nozione di spazio non è separabile dalla dimensione corporea e psicologica del suo fruitore, il corpo umano diventa quindi il cardine dello spazio architettonico.

Tratto da ESTETICA DELL'ARCHITETTURA di Francesca Zoia
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