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Il principio di equivalenza: Ersilia Majno

Il dilemma della maternità = La scrittrice svedese continuò a seguire le vicende del variegato mondo del femminismo italiano, mantenendo rapporti di amicizia soprattutto con Ersilia Majno.
La Majno, introducendo i lavori dell’Assise milanese, aveva sottolineato la caratterizzazione valoriale che le donne erano chiamate ad esprimere, sotto il segno dell’equivalenza e non di una troppo limitante e neutra uguaglianza.
La Key era ritenuta la teorica indiscussa del principio di equivalenza: esigenza che la componente femminile ottenesse lo stesso campo d’azione di quella maschile nel governo della società. Il “materno” si qualificava perciò come quella differenza con cui le donne avrebbero messo il loro sigillo su tutto il modo di pensare, di sentire, di volere e di agire.
L’autrice non intendeva avvalorare l’opinione comune che attribuiva alla donna le funzioni del cuore, mentre all’uomo quelle del cervello; non era neppure convinta che il contributo femminile fosse da ritenere senz’altro migliore di quello maschile; credeva però che la società avrebbe tratto maggiori benefici se rappresentata in tutte le sue diverse componenti.
Ella non mancava di sottolineare  il valore della singolarità, al di là del sesso, per incrementare rapporti di autentica reciprocità tra uomini e donne, esprimendosi perciò a favore della coeducazione scolastica. Diceva infatti che finchè la scuola teneva separati i due sessi non poteva educarli per la vita che li attende, e di cui è buona parte la collaborazione dell’uomo e della donna secondo la legge di natura.
Al centro della prospettiva etico-eugenetica della Key vi era l’esigenza di conciliare le ragioni del soggetto, del “privato”, con quelle collettive, della società e di tutta la specie.
La ricerca dell’unione perfetta, fondata sul vero amore, implicava l’adeguamento della vita sessuale sulla base delle esigenze personali, tenendo conto dei diritti degli esseri a cui si intendeva donare o era stata donata la vita. Per questo “l’amore tende così a diventare una questione di ordine privato e figli una questione vitale della società. Dunque la responsabilità dei genitori iniziava ben prima della nascita della prole.
La Key riteneva che le esigenze dei figli dovessero accordarsi con quelle personali, essendo oltremodo convinta che l’infelicità coniugale priva anche la società di figli che potrebbero trarre vita da un matrimonio felice.
L’amore era quindi “ la condizione più nobile per l’evoluzione della vita dell’umanità e dell’individuo”. L’amore era quella insuperabile dimensione universale che trascendeva ed inglobava la polarità conflittuale fra individuo e società, fra individuo e genere, fra individuo maschio e individuo femmina; era il criterio inappellabile per qualsiasi giudizio sul comportamento degli esseri umani. L’amore era la premessa a-razionale per attivare un’educazione permanente per chiunque, sia uomini che donne.
La scrittrice si opponeva ad una morale di privazione e di rinuncia, unendo motivi utopici, vitalistici, mistici ed eugenetici. Per lei la vita era il bene più prezioso, da vivere pienamente con immensa serietà e con gioioso e disinteressato dono di se.

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