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Platone. "Fedone" e immortalità dell'anima


Nei primi dialoghi Platone aveva presentato l’indagine di Socrate proiettata alla ricerca di definizioni: per Platone la definizione coincide con la conoscenza dell’universale, ossia dell’idea. A questi modelli fa riferimento il demiurgo nel foggiare tutte le cose che popolano il mondo sensibile in modo tale da renderle il più possibile simili a questi modelli: le idee allora rappresentano il bene e il meglio, ossia il fine in vista del quale le stesse cose sensibili sono costituite così come sono costituite. In questo senso l’idea rappresenta anche la causa per cui un oggetto è costituito in un determinato modo e la conoscenza dell’idea permette di spiegare perché un oggetto sia in un modo e non diversamente (T 71).
L’esistenza delle idee diventa nel Fedone il punto di partenza per spiegare l’immortalità dell’anima: se l’anima fosse mortale essa dovrebbe perire come tutte le cose sensibili e conseguentemente non potrebbe essere in grado di intuire né partecipare delle idee che per se stesse non sono corruttibili. A maggior ragione se conoscere significa ricordare cose che precedentemente già si conoscevano e sono state dimenticate è questa la dimostrazione che l’anima deve necessariamente preesistere rispetto al corpo. Un’ulteriore prova è data dal fatto che l’anima partecipa dell’idea della vita, in quanto è ciò che appunto anima, dà vita ad un corpo: essa non accogliere dunque un’idea opposta a quella della vita, ossia quella della morte; è come un numero dispari che non è il dispari ma partecipa dell’idea di dispari quindi non potrà mai accogliere in sé l’idea opposta, quella del pari.

Tratto da FILOSOFIA ANTICA di Carlo Cilia
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