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Morfologia della città di Genova in "Un destino ridicolo"

La prima parte del romanzo è ambientata nella Genova degli anni Sessanta. Anche qui l’inizio è uno sbarco dalla Sardegna e l’artificio letterario è quello di descrivere la città attraverso gli occhi curiosi del nuovo arrivato: Salvatore, approdato a Genova per rifarsi una vita: «Quando sbarcò si sentì perduto in quella città così grande […] tanti erano i colori e le cose che non aveva mai visto […]. La città brulicava di persone indaffarate, musiche mai udite […] Gli sembrava che in quella città il giorno non finisse mai». Il pastore sardo appena sbarcato si stupisce della “modernità” dei costumi di questa grande città. Ecco cosa dice delle donne: «Ce n’erano che indossavano abiti variopinti e fumavano come maschi, portavano gonne corte, capelli sciolti e a volte masticavano qualcosa che non finiva mai …»

Protagonisti nella rappresentazione morfologica della città sono i vicoli stretti e bui, dove si svolge la vita diurna e notturna dei personaggi: «Camminò a lungo nel quartiere di Via Prè, un budello che dall’angiporto si addentra per qualche decina di metri in un dedalo di vie strette come sentieri».
Per rendere realistica la descrizione della città, gli autori citano spesso i nomi di night, di osterie,  pianobar e negozi realmente esistiti.
Come in Maggiani e in Tabucchi, elemento ricorrente nel romanzo è il vento.

Tratto da GENOVA NELLA LETTERATURA di Isabella Baricchi
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