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Movimento naturale della popolazione

Soffermiamoci ad esaminare alcuni parametri sui quali si basano le osservazioni sull’andamento demografico. La popolazione mondiale aumenta o diminuisce in ragione della differenza tra nati e morti. Questi due valori, che in termini statistici sono definiti indici o tassi di natalità e di mortalità, sono espressi solitamente in termini di numero di individui ogni mille. I due coefficienti misurano infatti il rapporto tra il numero totale delle nascite e dei decessi in una popolazione duranti il periodo di tempo considerato e l’ammontare medio della popolazione dello stesso periodo. Di norma la popolazione media è data dal valore medio matematico tra la popolazione presente in un determinato territorio all’inizio dell'anno e quella presente alle fine dello stesso anno. 
La loro differenza, o saldo naturale della popolazione, esprime quindi genericamente la potenzialità di aumento. E’ noto come tali tassi sono molto vari nel mondo così come possono subire discrete variazioni anche nel breve periodo. Secondo gli ultimi dati i paesi sviluppati registrano saldi naturali estremamente deboli: una trentina di stati europei ad esempio hanno una popolazione che non cresce o addirittura diminuisce. Allo stesso tempo i paesi del Terzo Mondo, e specialmente alcuni di quelli africani, registrano saldi naturali assai elevati. Ma si può anche osservare come la popolazione europea quadruplicasse tra gli inizi del diciannovesimo secolo e la metà di quello successivo per rimanere poi stazionaria ed avviarsi verso un decremento. Al contrario quella dell’Africa Nera non doveva registrare significativi sviluppi sino almeno a cinquant’anni or sono per mostrare poi segni di eccezionali aumenti e mostrare ancora, negli ultimissimi anni, un’inversione di tendenza. 
Se nel passato questi scostamenti si verificavano in termini temporali estremamente lunghi, oggi la situazione è mutata: molte variabili possono infatti concentrarsi in periodi relativamente brevi in ragione di un’accelerazione dei processi economici globali, della maggiore sensibilità delle popolazioni ed allo stesso tempo dell’adeguamento dei vari governi verso l’elaborazione di politiche di sviluppo demografico razionalizzate alle loro esigenze e comunque ad una visione più globale del problema. 
Le variazioni del saldo naturale della popolazione, che molto spesso è indicato come tasso di crescita, non sono quindi legate ad una sola causa, ma ad una serie di variabili complesse. Mentre è facilmente intuibile come la mortalità sia generalmente conseguente ad un miglioramento delle condizioni sanitarie e socio economiche, non è altrettanto evidente quanto la natalità non dipenda soltanto da un adeguamento culturale dei vari gruppi umani.  
Infatti l’attuale andamento demografico che contraddistingue nettamente i paesi a sviluppo avanzato da quelli del cosiddetto Terzo Mondo, al di là di tutta una serie di differenti implicazioni sociali, è anche giustificabile da due elementi per così dire strutturali. Il primo è legato alla composizione della popolazione per fasce d’età: il recente e forte aumento di natalità nei paesi poveri, accompagnato da una contrazione della mortalità infantile, ha provocato un forte ringiovanimento ed un considerevole aumento degli individui in età riproduttiva. Il secondo, correlato al primo, riguarda i tempi in cui possono verificarsi variabili di rilievo tenuto conto di una certa situazione di partenza: supposto che due popolazioni disomogenee per quanto riguarda la struttura per età adottassero analogo atteggiamento demografico, impiegherebbero tempi assai diversi nel raggiungimento di un medesimo obiettivo. In altre parole, ragionando in termini meramente aritmetici, una popolazione anziana, con percentuali cioè significative di individui al di sopra dell’età mediamente considerata riproduttiva, necessita di un certo numero di anni per raddoppiare mentre una popolazione giovane è in grado di registrare un raddoppio in tempi assai inferiori. Ad esempio un tempo di raddoppio oggi ragionevolmente stimabile osservando i tassi di incremento medio in alcuni paesi europei, può essere intorno ai centoquaranta centocinquant’anni, di circa la metà in alcuni paesi a sviluppo demografico medio (Cina, Brasile) e tra i venti venticinque anni in altri a forte tasso di incremento (Nigeria, Yemen).
I dati proposti dagli organizzazioni internazionali che si occupano di monitorare l’accrescimento della popolazione confortano tali ipotesi. Infatti le più recenti proiezioni, diversamente da quelle di qualche decennio fa, indicano anche per i paesi a forte incremento demografico il raggiungimento del cosiddetto livello di popolazione stazionaria entro e non oltre l’attuale secolo. Secondo questa prospettiva ciò significherebbe un adeguamento della popolazione di quasi tutti i paesi mondiali al modello europeo, fine dell’esplosione demografica e semmai aumento di importanza dei problemi legati all’invecchiamento. 
Se ad esempio la Banca Mondiale alla fine degli anni Ottanta prevedeva che le popolazioni di Cina e India si sarebbero stabilizzate, rispettivamente nel 2090 e nel 2150, alla soglia di 1.400 milioni e 1.600 milioni di abitanti, oggi quelle cifre non sembrano realistiche. La popolazione cinese ha infatti superato i 1.200 milioni nel 1994, mentre quella dell’India ha raggiunto i 1.000 nel 1998. Se proiettassimo un calo ottimistico dei tassi di crescita dei due paesi, la prima si stabilizzerebbe a 1.700 milioni nel 2010, mentre la seconda a 2.000 nello stesso anno. Ma l’incremento demografico è un fenomeno ciclico e complesso: i cali complessivi nascondono infatti frenate e balzi in avanti ancor più evidenti quando si va ad analizzare i diffusi divari regionali. 

Tratto da GEOGRAFIA POLITICA ED ECONOMICA di Filippo Amelotti
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