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La Sala dell’Adrianeo e dei Festoni - Castel Sant'Angelo -


Tale Sala è adiacente alla Biblioteca. Il primo pagamento pervenuto per la decorazione risale al luglio del 1544 e potrebbe anche coincidere con l’inizio dei lavori. L’ultima nota del pagamento è luglio 1545. È sempre opera di Luzio Romano. Quel che lascia perplessi è un sensibile divario stilistico rispetto alla sala della Biblioteca e della Cagliostra e la mancanza di un nesso iconografico che leghi tra loro i riquadri dei fregi.
Quanto ai soffitti, essi sono andati perduti.
Il fregio dell’Adrianeo comprende otto riquadri intercalati da cariatidi a coppia e presenta i trionfi di Galatea e di Arianna, la Diana Efesina tra due unicorni, la scoperta del vino, una teoria di ninfe danzanti, la storia di Achille alla corte di Licomede e infine Teti che chiede le armi a Vulcano. Un legame tematico più evidente intercorre tra le rappresentazioni dei monumenti antichi affrescati al centro delle pareti tra le due cariatidi. Essi infatti appartengono all’Ager Vaticanus, la zona dove sorge Castel Sant’Angelo: la meta Romuli, la Naumachia, il circo di Caligola e Nerone con l’obelisco, lo stesso Mausoleo di Adriano, da cui la sala trae il nome. Ma più che dall’esame diretto dei monumenti superstiti, ridotti ad informe rovine, le raffigurazioni del fregio sembrano tratte dall’Antiqua e urbis Romae cum regionibus simulacrum che M. Fabio Calvo aveva pubblicato a Roma nel 1527 e che si basava sulle rappresentazioni monetali. La stessa ricostruzione del Mausoleo di Adriano, affrescato sulla parete nord della sala, è copia fedele delle Pire funerarie quali appaiono sul rovescio delle monete romane di consacrazione imperiale e che erano interpretate nell’500 come raffigurazione del mausolei imperiali.
Il fregio della Sala dei Festoni presenta su tre lati teorie di figure ritmicamente scandite e intervallate da cariatidi; sul quarto lato vi sono scene di Orfeo che incontra gli animali e forse quella (mutila) della Maga Circe che tramuta in bestie i forestieri. Negli angoli, girali di acanto con putti, sfingi, unicorni e altre figure chimeriche.
È stato detto che i due fregi appartengono a mani diverse e che la discontinuità iconografica riflette quella stilistica. Ma dall’indagine condotta durante i recenti restauri è apparso evidente che ambedue i fregi sono dovuti, almeno in gran parte, alla stessa mano e che questa si riconosce anche in altri complessi decorativi eseguiti negli stessi anni. Una relativa discontinuità è insita nello stesso pittore.I due fregi, nello schema a riquadri suddivisi da cariatidi, si rifanno a quelli di Palazzo Massimo alle Colonne e delle tre sale di Paolo III a Palazzo dei Conservatori, che furono tra i primi, sull’esempio di Perino del Vaga, a rompere con lo schema tradizionale del fregio a motivi continui e uniformi fino ad allora predominante. Nell’ambiente delle decorazioni del settore nord dell’appartamento papale, le pitture dell’Adrianeo e dei Festoni assumono una connotazione stilistica particolare.
Se le decorazioni della Biblioteca e della Cagliostra partecipano ad uno stile che può considerarsi di Luzio, quello dell’Adrianeo e dei Festoni mostrano una maggior autonomia e lasciano affiorare una personalità diversa ad una cultura formale estranea a quella di Luzio. Si manifesta in questi fregi una concezione decorativa che privilegia l’evidenza plastica delle forme, le lumeggiature  a macchia, gli effetti cangianti e pittorici. Indicative sono la Diana Efesina e le Ninfe danzanti dell’Adrianeo e le otto cariatidi dei Festoni, che sono tutte di notevole qualità pittorica e si distinguono per i loro effetti sfumati e per una carica di espressività teatrale. Nasce da questo divario stilistico il problema di identificare l’animo collaboratore di Luzio che opera in queste sale.
Le opere più direttamente si collegano agli affreschi dell’Adrianeo e dei Festoni sono il fregio della sala delle Oche a Palazzo dei Conservatori, attribuito a Luzio, il frammento dell’affresco stoccato con la veduta del Belvedere attribuito a Perino del Vaga datato 1545, e gli affreschi di Villa Giulia che Vasari riferisce a Prospero Fontana.Tra queste opere intercorre un nesso di affinità stilistica e tipologica tale da far ritenere non azzardata l’ipotesi che l’artista sia un collaboratore dell’orbita di Luzio. Probabilmente Prospero Fontana, artista ancora da studiare, che lavorò con Perino del Vaga a Genova insieme a Luzio Romano.
Da molti indizi si è indotti a credere che il Fontana, dopo il periodo genovese, abbia soggiornato a lungo a Roma assimilando il linguaggio raffaellesco e che sia entrato a far parte dal 1544-5 dell’equipe di Luzio partecipando ad alcune imprese decorative di quegli anni.

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