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I media e la guerra delle Falkland

Il conflitto combattuto nel 1982 tra Inghilterra e Argentina per le isole Falkland/Malvinas è il primo caso in cui si tenta di elaborare un progetto coerente che leghi le strategie di informazione con i nuovi sviluppi nel campo bellico-militare ⇒ la gestione dell’informazione è orchestrata tenendo bene a mente le presunte lezioni del Vietnam ⇒ l’atteggiamento del governo inglese nei confronti dei giornalisti è all’antitesi rispetto al grado di apertura che il governo americano aveva tenuto in Indocina. 
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Il ruolo del Ministero della difesa è talmente efficace che questa vicenda diviene, nella storia del giornalismo, uno degli esempi più classici da seguire nella gestione dell’informazione da parte dei governi, così come il Vietnam rappresenta il modello da evitare a tutti i costi: 
1 − il ministero confeziona l’immagine di una guerra asettica, in cui emerge prima di tutto la schiacciante superiorità inglese nel campo tecnologico-militare 
2 − la guerra viene presentata fin dall’inizio come totale, non come limitata: è stato attaccato un territorio britannico, per quanto sia un distante residuo del colonialismo, e il dovere di tutti i cittadini (giornalisti compresi) è collaborare. 

Tuttavia, la guerra delle Falkland/Malvinas non è un modello facilmente imitabile: nessuna situazione è tanto propizia per il lavoro di un censore quanto un conflitto combattuto in mare aperto, dove l’accesso al fronte è completamente sotto il controllo delle autorità. 
Fin dall’inizio, la flotta reale chiarisce di non gradire la presenza dei giornalisti a bordo, ma alla fine vengono accettati 29 reporter, tutti inglesi, divisi in pool (=gruppi). 
Ospitando i giornalisti a bordo delle proprie navi, i militari hanno la possibilità di regolarne la vita in tutti i suoi aspetti. In più, viene istituita una nuova figura, il minder = funzionario di pubbliche relazioni del ministero della difesa, incaricato di controllare gli articoli e tagliare le parti ritenute dannose per lo sforzo bellico. Ufficialmente, la censura riguarda solo la sicurezza militare, ma in realtà incide su tutto ciò che rappresenta “cattive notizie” suscettibili di danneggiare l’immagine positiva dell’impresa bellica. La necessità dei giornalisti di utilizzare i mezzi di trasmissione a bordo delle navi per inviare i pezzi a Londra rende impossibile evitare il controllo governativo e dota i militari della capacità di limitare a piacimento la quantità del materiale destinato ai mass media. 
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In questa situazione, il ministero della Difesa, attraverso i suoi briefing e le sue dichiarazioni televisive, riesce a presentarsi come l’unica fonte in grado di fornire notizie accurate: la sua attendibilità sembra abbastanza solida. Solo alla fine della guerra si scoprirà che erano state diffuse di frequente notizie parziali, se non deliberatamente false, a volte con l’intento di depistare il governo argentino. 
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Imponendo a giornali e televisioni un flusso di informazioni prodotto dagli apparati politico-militari, questi ultimi possono ricostruire l’immagine della guerra in modo funzionale ai propri scopi. 
Quando, nel 1983, gli USA invadono la piccola isola caraibica di Grenada, vengono replicate le tecniche utilizzate dal governo inglese; il pretesto è quello di liberare un gruppo di studenti di medicina americani, ostaggio del governo marxista dell’isola. Il successo dell’intera operazione è affidato all’effetto sorpresa ⇒ questo permette al governo americano di giustificare il velo di segretezza al riparo del quale la missione viene organizzata ⇒ il governo esclude i media dall’accesso all’isola per l’intera durata dei combattimenti, per ammettere i giornalisti solo quando tutto si è concluso. 
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Anche Grenada risulta essere una guerra invisibile. 
Dopo la caduta del muro di Berlino, il mondo viene percorso da numerosi conflitti che presentano caratteristiche profondamente diverse dalle guerre precedenti. Poiché la definizione classica di “guerra” non è più utile a identificare questo nuovo tipo di violenza organizzata, vengono coniati diversi termini: 
1 − guerre postmoderne 
2 − nuove guerre 
3 − guerre a bassa intensità. 

Queste guerre esplodono lontano dall’Occidente e dai centri dell’informazione globale, riguardano zone che al nord appaiono periferiche, come l’Africa e l’Est europeo ⇒ sono “guerre degli altri”, che vengono osservate dalla finestra, senza coinvolgerci direttamente. 
A raccontarle c’è un universo mediatico che, a partire dagli anni ’80, è cambiato radicalmente: 
1 − nel 1980, Ted Turner fonda ad Atlanta la CNN, che trasmette notizie 24 ore al giorno, con una frequenza prima impensabile 
2 − all’inizio degli anni ’90 fa la sua comparsa il direct broadcasting by satellite, che permette di ricevere e inviare immagini in diretta da ogni angolo del globo. 

Tratto da I MEDIA E LA POLITICA INTERNAZIONALE di Elisa Bertacin
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