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Il potere multidimensionale

Nell’arena internazionale viene a delinearsi un potere “multidimensionale”, composto da: 
1 − hard power, il potere del comando = l’abilità di dare forma a ciò che gli altri fanno, che si basa sulla coercizione e sull’induzione 
2 − soft power, il potere della cooptazione = l’abilità di dare forma a ciò che gli altri vogliono, che può fare affidamento sull’attrattività di una cultura e sui suoi valori e sull’abilità di manipolare l’agenda degli obiettivi politici. 

Hard power 
Soft power 
Attività e comportamenti nell’esercizio del potere 
Comando 
Coercizione
Induzione 
Cooptazione 
Agenda setting 
(analizza come si sviluppano le tematiche di interesse pubblico) 
Attrazione 
Risorse a disposizione nell’esercizio del potere 
Forza 
Sanzioni 
Pagamenti 
Corruzione 
Istituzioni 
Valori 

Il soft power non è solo nelle mani dei governi o delle nazioni come l’hard power: il potenziale, e in certi casi reale, ruolo degli attori non-statali nelle relazioni internazionali è legato alla circolazione delle informazioni e alla decentralizzazione creata dalle nuove tecnologie ⇒ i leader politici godranno di un minore grado di libertà nella reazione agli eventi e dovranno evitare di farsi attirare da parole quali “unipolarità” ed “egemonia” e da misure di forza che paragonino solo l’hard power degli stati guidati da governi centrali. 
Dato il loro ruolo di leader nell’information age, è inevitabile considerare soprattutto le risorse che possono accrescere il soft power degli USA. Tuttavia, essi non sono gli unici attori internazionali: altri attori, sia statali sia non-statali, possiedono un certo grado di soft power, che può essere usato sia a favore sia contro gli USA: 
1 − Unione Sovietica: durante la Guerra Fredda, il principale competitore degli USA anche nel campo del soft power, era ovviamente l’URSS, che si lanciò in una massiccia campagna per convincere il resto del mondo circa il “fascino” del sistema comunista. Il colpo più grosso fu ottenuto nel 1957, con il lancio dello Sputnik, che portò molti europei a credere che l’URSS avesse ormai superato gli USA nel campo scientifico e spaziale ⇒ si cominciò ad affermare che il Comunismo era una sorta di “socialismo scientifico”. Tuttavia, di fronte al successo dell’alta cultura sovietica (scienza, tecnologia, musica classica, danza, atletica), la cultura popolare non riuscì mai a raggiungere il grado di attrazione di quella americana ⇒ il soft power ne risentì notevolmente. 
2 − Europa: attualmente, il principale competitore degli USA nel campo del soft power è l’Europa. Preso individualmente, nessuno stato europeo sarebbe in realtà in grado di competere con l’America, ma nel loro insieme come Unione Europea, questi paesi rappresentano quasi un ideale di soft power: l’idea che una guerra sia pressoché impossibile tra questi paesi che si sono combattuti per secoli e che l’Europa ora sia diventata una sorta di isola di pace e prosperità non fa che aumentare l’immagine positiva dell’Europa nel mondo. Il potere militare dell’Europa, il cosiddetto hard power, è praticamente irrisorio se confrontato con quello americano, ma per quanto riguarda il soft power, la competizione è aperta. 
Sotto vari aspetti, gli Europei sono più adatti degli USA a sviluppare quelle risorse civili che accrescono il soft power. In particolare, l’Europa è molto più disponibile ad agire tramite le istituzioni multilaterali ⇒ in un mondo in cui l’unilateralismo è pesantemente criticato, la propensione europea verso il multilateralismo rende le politiche dei paesi europei molto più attraenti di quelle americane. 
L’acquisizione di soft power non avviene solamente in modo competitivo, ma può essere anche condiviso, per raggiungere obiettivi comuni. Ad esempio, la promozione della democrazia e dei diritti umani da parte dell’Europa va di pari passo con la promozione degli stessi da parte degli USA. Sono i cosiddetti “valori occidentali”, quelli contro cui al Qaeda combatte ⇒ non sono solamente americani. 
Ovviamente, anche l’Europa deve affrontare ancora numerosi problemi di divisioni interne: infatti, nonostante la completa unione nel campo del commercio, delle politiche monetarie e dell’agricoltura, e dei crescenti accordi circa i diritti umani e il diritto penale e i tentativi di giungere alla firma di una Costituzione che istituisca un presidente e un ministro degli esteri dell’Unione, le politiche estere e di difesa restano però ancora interamente in mano nazionale. Il denaro e le armi, i tradizionali indici dell’hard power, restano ancora principalmente sotto il controllo di ogni singolo stato membro. 
− Asia: anche i paesi asiatici hanno un grosso potenziale di risorse per il soft power, basti pensare all’arte, alla moda, alla cucina asiatiche e al miracolo economico fino agli anni ‘90. Tuttavia, rispetto ai paesi occidentali, il soft power asiatico ha subito nel corso del tempo, un lento declino. Tra tutti i paesi asiatici, comunque, il Giappone è sicuramente quello che ha le maggiori potenzialità nel soft power, potenzialità che sono però limitate da alcune scelte politiche del paese: in particolare, a differenza della Germania che ha ripudiato le sue politiche passate e si è così riconciliata con i propri vicini, il Giappone non ha mai completamente ripudiato la propria politica di aggressione degli anni ’30 ⇒ la permanente diffidenza di vicini quali la Cina e la Corea limitano il soft power giapponese, dal momento che il paese non ha la piena ammirazione neanche dei vicini asiatici. 
In futuro, anche Cina ed India saranno grandi competitori nel soft power, dati gli incoraggianti segni di crescita e sviluppo dei 2 paesi. Tuttavia, tale crescita è limitata dalle critiche esterne alla politica dei 2 paesi, con la brutta reputazione di avere i governi con il più alto grado di corruzione. Anche in politica estera i 2 paesi sono limitati dalle loro scelte e, in particolare, dai loro rispettivi conflitti con Taiwan e il Kashmir. 
1 − Attori non-statali: l’information age ha portato alla crescita del ruolo di attori non-statali sullo scenario internazionale, aumentando soprattutto il soft power delle ONG. Data la capacità di queste ONG di creare seguaci, i governi dovranno sempre più tenerle in considerazione, sia come potenziali alleati, sia come potenziali competitori. 
Ovviamente, queste ONG non sono tutte uguali: esse variano per quanto riguarda l’organizzazione, il budget, il numero dei membri, il senso di responsabilità ⇒ anche il loro soft power varia: mentre alcune ONG sono più credibili dei governi, altre non lo sono; alcune hanno una reputazione e una credibilità tali da dare loro voce non solo sul piano nazionale, ma anche su quello internazionale; alcune mancano di un certo grado di credibilità presso i cittadini più moderati, ma riescono comunque a mobilitare un certo numero di persone in particolari occasioni, tanto che nessun governo può permettersi di ignorarle. 
Oltre alle ONG, esistono altre organizzazioni intergovernative con notevoli risorse di soft power, basti pensare all’ONU e al WTO. 
Ovviamente, il soft power può svilupparsi anche presso organizzazioni e reti “cattive”: organizzazioni terroristiche transnazionali quali al Qaeda possono essere rifiutate dalla maggior parte del mondo, ma risultano altamente attraenti per alcuni gruppi di estremisti ⇒ sebbene non sia così sorprendente che molti musulmani provino sentimenti negativi nei confronti di Bush e Blair alla luce della guerra al terrorismo nei paesi musulmani, non bisogna comunque sottovalutare la forte simpatia suscitata in questi paesi dai messaggi di bin Laden ⇒ l’America non dovrebbe sottovalutare il soft power del proprio nemico giurato. 

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Si può essere egemoni soltanto con la collaborazione di diversi soggetti interni ed esterni nella creazione di una potenza che investa sull’appeal internazionale di uno stato. L’idea è quella proposta da Baumann di relazioni internazionali “porose”, un’idea secondo cui le rappresentazioni individuali e collettive giocano un ruolo molto rilevante anche nella decisione dell’attribuzione della sovranità. 
In tutto questo contesto, diventa centrale non il quantitativo di informazioni, ma si compete per la reputazione: molte battaglie politiche si giocano per la creazione o la distruzione della credibilità. 
A causa delle nuove tecnologie, la sovranità (= il potere di una nazione di fermare altri dall’intervenire in affari interni) si sta rapidamente erodendo. Quando Woodrow Wilson negoziò il Trattato di Versailles, ordinò che fosse assunto il controllo di tutte le linee di comunicazione transatlantiche in modo da censurare ogni notizia proveniente dall’Europa. Oggi, nessuno può bloccare il flusso di informazioni che attraversa i confini nazionali. L’avvento dei computer e delle telecomunicazioni ha favorito la nascita di una comunità globale ⇒ la comunicazione globale ha messo sotto pressione i governi nazionali e influenzerà sempre più i processi politici in tutto il mondo. 
Questi cambiamenti non riguardano solo la macchina produttiva civile, ma anche le capacità militari di un paese. Oggi, soprattutto negli USA, l’intelligence militare è diventava via via più complessa ed ha assunto anche un nuovo nome: information dominance. 
L’affidarsi alle tecnologie dell’informazione ha però anche alcuni lati negativi. Ad esempio, l’American information infrastructure è stata definita “vulnerabile ad attacchi”: rogue states e gruppi terroristici oggi possono pensare di condurre un’information warfare anche senza comandare un grande esercito. Un’offensiva di information warfare è anzi molto più attraente, essendo molto più conveniente rispetto agli alti costi che richiederebbe il mantenimento e l’addestramento di avanzate capacità militari ⇒ il crescente affidamento da parte degli USA ai network informatici li ha resi più (non meno) vulnerabili. Inoltre, diventa sempre più difficile capire cosa possa essere considerato “atto di guerra”: infatti, se accadesse che i satelliti americani sparissero, probabilmente gli USA non sarebbero neanche in grado di individuare il colpevole ⇒ sarebbero impotenti, nonostante il loro enorme arsenale nucleare strategico. 
È comunque necessario rifiutare un eccessivo determinismo tecnologico e pensare che la rivoluzione dell’informazione sia una rivoluzione dei “piccoli” contro i “grandi”. In realtà, secondo Nye, le potenze nazionali sono ancora gli attori favoriti nell’arena internazionale, principalmente per 3 motivi: 
1 1. accesso privilegiato ai media e attenzione da parte dei media pressoché garantita 
2 2. alti costi nella produzione e diffusione di informazioni ed “eventi mediatici” 
3 3. importanza del controllo degli standard nel campo dell’informazione. 

Tratto da I MEDIA E LA POLITICA INTERNAZIONALE di Elisa Bertacin
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