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Il neorealismo, stella cometa del cinema del dopoguerra


Con la più famosa triade neorealista Roma città aperta, Sciuscià e Paisà il cinema italiano viene promosso ad arte guida.
Roma città aperta (Rossellini, 1945) viene accolto dalla critica con giudizi contrastanti dal punto di vista ideologico, tecnico-stilistico, estetico e tematico. Il pubblico lo accoglie trionfalmente in casa e all’estero. I critici stranieri consacrano Rossellini e vedono nel neorealismo una possibilità di riscatto per le colpe passate del popolo italiano, in particolare Andrè Bazin scrive pagine difendendo ed osannando De Sica e Rossellini; all’estero il neorealismo continuerà a diffondersi diventando modello per le cinematografie dell’est e sudamericane. Sfortunatamente già negli anni 50 si parla di crisi produttiva del neorealismo che pur in breve tempo ha modificato radicalmente i caratteri cinematografici.
Aldo Fabrizi e Anna Magnani con la recitazione naturale della gente comune diventano monumenti viventi della resistenza europea. Rossellini rivoluziona i codici rappresentativi, riporta la macchina ad altezza uomo, ridona visibilità ad ogni aspetto del reale e dignità ad ogni personaggio; riscopre le forme elementari di comunicazione restituendo al cinema il ruolo di strumento di conoscenza umana e presa di coscienza collettiva. Si giunge alla perfetta integrazione fra spettatore e schermo: nelle sale cinematografiche si trova la stessa gente che recita nel film, affrontando una tematica che ha toccato tutti nel profondo non più di qualche anno prima. Gli sceneggiatori rinunciano a far sentire la propria presenza togliendo ogni filtro culturale a favore dell’esaltazione del reale popolare, alla bellezza della gente comune, valorizzandone le differenze dialettali. I registi e gli sceneggiatori si sentono rivestiti del ruolo di documentare la ricostruzione del paese; il neorealismo scopre che non esistono le differenze tra pubblico e privato, o tra il personaggio e l’ambiente. Vengono annullati tutti i saperi, le regole ed i paradigmi spettacolari precedenti, l’occhio della presa è invisibile ed ha il compito di testimoniare, trovando nella macchina da presa l’erede della tradizione orale dei cantastorie. Rossellini insegna come chiunque con qualunque mezzo possa fare cinema isolando momenti senza costruzioni preliminari di alcun tipo, la realtà offre tutta la bellezza compositiva di cui si possa necessitare.
De Sica con lo sceneggiatore Zavattini pur teorizzando la spontaneità e l’immediatezza, reintroduce le regole di recitazione, del lavoro in studio, di costruzione dell’immagine e della preparazione della scena. La volontà non è quella di azzerarsi ma di fondersi con il personaggio facendone assaggiare il soggettivo punto di vista fin da I bambini ci guardano. Sarà Visconti ad affermare la necessità di non lasciare nulla al caso, nulla è spontaneo e naturale; riallacciandosi alla produzione pittorica propone un’esuberanza compositiva ai limiti del barocco. La tendenza generale del cinema del dopoguerra è quella di raccontare in forma corale le dinamiche e le trasformazioni nella vita degli italiani, osservano i cambiamenti di classe e la progressiva sparizione della classe stessa. Luciano Emmer è un autore la cui produzione agisce da ponte con una prima parte dell’avventura neorealista in cui domina uno stile alto e tragico, e quella in cui si punta ad una maggiore leggerezza: Le ragazze di piazza di Spagna (1952) La ragazza in vetrina (1960) fu criticato a tal punto da spingere Emmer a lasciare il cinema

Tra gli anni quaranta e cinquanta assistiamo al periodo d’oro del documentario; tutti i grandi registi italiani si sono cimentati nel documentario pur rimanendone poche testimonianze, un’opera recente ha fatto riaffiorare i documentari di Pasinetti scoprendo delle capacità inedite. Con l’opera documentaristica si ottengono i primi contatti con le realtà profonde e sconosciute del sud e delle isole, i primi veri ingressi nella quotidianità operaia. Oltre alle tematiche, profondamente riutilizzate, alcuni registi sperimenteranno metrica, sintassi e ritmica che porteranno a pieno sviluppo nei film di finzione.  Ricordiamo solo alcuni titoli Gente del Po (Visconti); Buio in sala (Risi); Isole nella lagune (Emmer) Isole di fuoco (De Seta). E’ da isolare Folco Quilici per la capacità di concepire il documentario come parte integrante del cinema di finzione, Sesto Continente (1954) è un’opera che sa unire il senso dell’avventura, la scoperta e l’analisi del vicino e del lontano, tra curiosità poetica e rigore scientifico. Negli anni sessanta l’affermarsi del verbo della nouvelle vague e la televisione renderanno il documentario meno importante.

E’ sempre rimasta in sottotono il filone a destinazione infantile dell’animazione, la data di nascita del genere si può far risalire al 1949 con La rosa di Baghdad (Domeneghini) e I fratelli dinamite (F.lli Pagot). Tuttavia la vera storia dell’animazione italiana è legata a Carosello in cui vengono raggiunti livelli competitivi su scala mondiale dalla Gamma film, Bruno Bozzetto Film, Pagot Film. Il primo ad ottenere successo è Bruno Bozzetto con West and Soda (1965)e Mio fratello superuomo (1968); il personaggio di Bozzetto è il Signor Rossi, attraverso le cui avventure quotidiane riconosciamo l’italiano medio che si confronta con la modernità. La fine di Carosello produce la catastrofe dell’animazione italiana. Bisognerà aspettare fino agli anni 90 in cui si afferma la personalità di Enzo d’Alò che otterrà successo con La freccia azzurra e La gabbianella e il gatto.

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