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Francesco Guicciardini

L'individuo e la politica
Il realismo politico di Guicciardini prosegue quello di Machiavelli ma rivela un diverso spirito critico ed una diversa sensibilità morale e sociale. La meditazione di Machiavelli convergeva verso uno scopo fondamentale, lo stato, la patria, cui egli attribuiva un significato universale che gli consentiva di superare e perfino di non avvertire con particolare turbamento le contraddizioni fra politica e morale. Sembra che l'individuo, piuttosto che lo stato e la patria, sia il punto di riferimento di Guicciardini. Egli si pone il problema di conoscere che cosa la politica rappresenta per l'individuo: stato e patria possono presentarsi come degli ideali universali ma l'individuo rimane l'essere più concreto e più sensibile della realtà. I giudizi di valore sulla politica sono quindi da Guicciardini affidati soprattutto all'esperienza esistenziale dell'individuo, considerato nella sua particolarità ed originalità. La soluzione proposta da Machiavelli di risolvere lo stato nella persona del principe e di presentare questa unificazione come canone di individualizzazione e insieme di universalizzazione della politica (il principe è un individuo dotato, tuttavia, di una sua potenzialità politica universale) non è accettata da Guicciardini, il quale non vuole confondere né lo stato con l'universale concreto, né il principe con l'individuale universalizzato. Città, stati, regni non sono per lui realtà eterne ma realtà mortali e la vita delle formazioni sociali deve essere sempre confrontata con la vita degli individui. Nella dinamica delle sue forze impersonali la politica si presenta come una "machina mondana" che ci distrae dai nostri assilli esistenziali ma essa non è tutto e non può condizionare radicalmente l'uomo fino a portarlo alla rinuncia del proprio particulare.

Teoria e pratica
C'è sempre uno scarto fra il disegno e la realizzazione e questo scarto si manifesta in politica: non vi è sistema, per quanto metodicamente elaborato e controllato, che possa impedire l'insorgere di un caso che è fuori da quelli presupposti. Sul problema del bene e del male nei singoli individui e negli stati Guicciardini tiene conto dei giudizi di Machiavelli, riconosce quanto di plausibile e di realistico essi contengono ma non li ratifica in tutte le loro illazioni e conclusioni. Il principio machiavelliano di una natura statica della condizione umana sembra accolto anche da Guicciardini ma più consono alla sua mentalità complessiva sembra essere il riconoscimento che "d'età in età si mutano la cultura e i gusti" ed anche una certa fiducia nelle potenzialità qualitative del futuro. Guicciardini sembra dar prova di una sensibilità morale che corregge il pessimismo antropologico di Machiavelli, anche se non lo smentisce; egli non ritiene che l'individuo sia sinonimo di egoismo bensì ritiene che "gli uomini tutti per natura sono inclinati più al bene che al male", tuttavia la natura dell'uomo è fragile, le tentazioni sono innumerevoli e tutto ciò porta l'uomo a deviare verso il male o verso l'indifferenza e l'inconsapevolezza morale.

Le ambiguità del potere
Per Machiavelli la virtù politica è il massimo dispiegamento delle potenzialità umane; per Guicciardini il potere presenta anche aspetti lesivi di importanti valori e bisogni umani. Tutti desiderano il potere ma esso rivela molestie, fatiche, inquietudini, invano compensate dal fasto delle appariscenti grandiosità. Guicciardini ammette, con realismo altrettanto consapevole di quello di Machiavelli, che nella politica non vale solo la volontà buona e l'intenzionalità eticamente orientata. La sua conclusione è sconsolata come quella di Machiavelli: la "ragione degli stati" e l'"uso degli stati" sono cose diverse dalla ragione e dai comportamenti della moralità comune. Governare significa anche pensare all'esistenza di uomini cattivi da disciplinare con adeguati apparati coercitivi. E' male essere governati da chi non sa governare ma chi non sa governare non è colui che ha ripugnanza a praticare le forme più aspre del dominio, è soprattutto chi non comprende che l'autorità deve essere sempre "limitata e accompagnata" dal prevalere di leggi che si articolino in istituzioni superiori alla figura stessa del principe. Il complessivo giudizio di Guicciardini è che la politica debba evitare sollecitazioni troppo brusche e che non debba fomentare crisi irrecuperabili. La logica del potere è sempre avvolta di segretezza ed è bene che certe cose non si sappiano ma non è positivo che tra il "palazzo"e la "piazza" vi sia un muro. Il tributo dovuto agli arcana imperii non impedisce a Guicciardini di denunciare le degenerazioni politiche provocate da quell'abuso di simulazione che toglie credibilità all'azione di governo.

I buoni ordini
Il costante riferimento al particolare non sminuisce, tuttavia, in Guicciardini il valore delle sue idealità politiche e non lo distoglie dal riproporre la validità del suo modello di regime politico, espressione di un liberalismo temperato. Tre sono le cose più di tutte vorrebbe vedere realizzate e che, per lui, costituiscono i principi ispiratori di una politica moderna: 1) una libertà ben garantita; 2) l'indipendenza nazionale; 3) la laicità dello stato. La sua concezione politica e chiede che le istituzioni assecondino processi di selezione di élites competenti. Lo "stato libero" va ordinato, non deve essere un'astrazione, una forma vuota, né deve fomentare errori e disordini. Il compito fondamentale del governo libero e popolare è quello di opporsi al dispotismo ma la lotta alla tirannia esige che, insieme all'autorità del sovrano, sia limitata e controllata anche la "licenzia populare". Il perfezionismo popolare e democratico guasta la libertà e la "guardia" di quest'ultima è connessa alla temperanza ed alla moderazione; argini e contrappesi opportunamente dosati devono valere sia nei confronti del principe, sia nei confronti del popolo. Guicciardini riconosce che "libertà non vuol dire altro che giustizia ed equalità" ma non deve ripugnare l'accettazione di distinzioni e di differenziazioni tra i cittadini e il diverso impiego pubblico delle loro competenze e dei loro meriti. Lo stato non può pretendere di eliminare sempre il malcontento ma deve almeno cercare di non portare i cittadini alla disperazione.

Il particolare e le obbligazioni politiche
Seguace di Machiavelli, Guicciardini ne è anche il critico: il metodo di Machiavelli di riferirsi alla storia ed all'esperienza viene accolto ma la tensione ideale per riportare la politica a modi più umani e benefici è più intensa. Il particolare di Guicciardini non sfocia nell'apologia del privato ma esprime la consapevolezza di una forza storica e morale, come appunto quella dell'individuo, che rivendica all'interno dello stato una autonomia non inferiore a quella che lo stato di Machiavelli rivendicava nei confronti dei suoi tradizionali condizionamenti.

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