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René Descartes

La conoscenza razionale
Cartesio è stato il fondatore del razionalismo moderno e la regola essenziale del suo metodo, di non prendere per vera alcuna cosa che non possa con tutta evidenza essere riconosciuta come tale, può certo presentarsi come una rivoluzione dell'intelligenza. Dal dubbio sistematico egli passa alle idee chiare e distinte, pervenendo a trarre dal principio del cogito ergo sum una serie di deduzioni da applicare al campo della conoscenza e della moralità. Si può dubitare del pensiero ma non si può dubitare che questo pensiero appartenga al soggetto e perciò, con la consapevolezza immediata del nostro io, abbiamo anche la consapevolezza che il nostro pensiero rappresenta una verità perché ha un nesso costitutivo con la nostra vita e ha la stessa certezza del nostro esistere. La vera scienza si acquista per Cartesio attraverso l'esercizio di un pensiero rigoroso; i criteri fondamentali che regolano i metodi e i procedimenti dell'intelligenza sono quelli della intuizione, deduzione e enumerazione. Egli parla di "intuizione" non in riferimento all'immaginazione, all'utopia, al mistero, ad un impulso sregolato dell'anima ma nel senso di percezione di principi che non possono che essere quelli che sono. Se i primi principi si conoscono per intuizione, le conseguenze più lontane si colgono attraverso la deduzione e la cooperazione fra intuizione e deduzione consente di ricercare tutte le connessioni che esistono fra le cose, connessioni che devono avere lo stesso grado di veridicità delle idee percepite attraverso l'intuizione. Conoscere vuol dire quindi cogliere in ogni cosa ciò che vi è di chiaro, di distinto, di indiscutibile, di assoluto, vuol dire collegare ogni nucleo indecomponibile di verità con tutti gli altri così stabiliti, estendendo progressivamente le connessioni certe a sempre nuovi ambiti del reale. Si tratta però di non semplificare arbitrariamente i procedimenti deduttivi e, per evitare questi rischi, si richiede una enumerazione, la più dettagliata e rigorosa possibile, di tutte le cose che sussistono in un certo campo di realtà. Lo sviluppo del conoscere dipende dall'estensione e dalla correttezza dei procedimenti mentali di connessione. L'idea di Dio esprime per Cartesio la connessione universale dello scibile, fondamento e garanzia della verità di ogni nostro consapevole connettere.

Politica e ragione

Ci possiamo porre il problema se il razionalismo di Cartesio abbia delle implicazioni significative nel campo della politica e se questa idea forte di ragione venga da lui usata come strumento per criticare l'ordine sociale e per proporne un altro meglio rispondente ad un sistema di idee chiare e distinte. Quando si denunciano gli abusi del costruttivismo sociale, il riferimento polemico è rivolto contro Cartesio il quale sarebbe responsabile di avere elaborato una ragione che, eliminando tutti i suoi contrari, pretende di dedurre il reale dalla purezza intellettualistica dei suoi assiomi. Questa mentalità cartesiana, trasferendosi dal mondo del conoscere a quello della politica, può chiedere che le istituzioni e le regole di condotta, per avere effetti benefici, siano interamente determinate da verità note e dimostrabili. Il razionalismo cartesiano, con il suo disprezzo per la tradizione, per le consuetudini e per la storia, vorrebbe rendere l'uomo capace di edificare ex novo la società. Gli autori che privilegiano nella società l'ordine spontaneo, opponendosi all'ordine costruito, sono quindi diffidenti verso la razionalità cartesiana che appare loro come un abuso della ragione, come un gioco intellettualistico incline a violentare i fatti e ad inaridire le correnti libere della vita. Le preferenze di questi critici del costruttivismo sociale vanno invece verso quel tipo di ragione artificiale che non è il prodotto puro della mente umana: una ragione che potremmo chiamare involontaria perché nessuna mente umana ha voluto coscientemente quel risultato complessivo. Quando si parla di questa diversa concezione della razionalità,più flessibile e più possibilista, il riferimento va a pensatori come Adam Smith, David Hume, Adam Ferguson, a quella scuola storica scozzese del ‘700 che considera i fenomeni umani e sociali come prodotti delle azioni individuali ma non come realizzazioni di un disegno razionale prestabilito. Per coerenza alle sue premesse intellettuali, i principi della sua razionalità cosciente e deliberata dovrebbero trovare applicazione anche nella riflessione politica e non mancano in effetti, specie nel suo Discorso sul metodo, delle argomentazione rivelatrici di tale sua attitudine. Cartesio sostiene così che quando una società è formata da tanti pezzi ed esce dalle mani di tanti artefici, le diverse componenti che confliggono fra di loro non le danno quella perfezione che la società potrebbe avere se fosse disegnata da uno solo attraverso una intenzionalità esclusiva. L'ideale politico di Cartesio non sembrerebbe quindi dissimile dal suo ideale conoscitivo ma, in realtà, egli scinde l'ordine politico da quello del sapere critico ed ammette che i fenomeni sociali non sono regolabili attraverso una razionalità compiuta ed assiomatica. Il mondo della società si presenta a Cartesio come il mondo delle cose probabili, probabili perché si sono sviluppate gradualmente, hanno richiesto una dialettica di opinioni diverse e contrastanti e perché sono il risultato di transazioni più o meno precarie. Una società non può essere distrutta ed automaticamente ricostruita; la riforma di tale realtà, anche nelle cose minime, è sempre molto complessa, suscita delle reazioni imprevedibili,implica degli effetti indesiderati. L'enfasi razionalistica di Cartesio si affievolisce quando si varcano le soglie della politica, d'altra parte le imperfezioni della società che la ragione denuncia sono rese più tollerabili dall'abitudine,la quale anzi di tali imperfezioni ne ha evitate e corrette molte. Il costruttivismo sociale che viene addebitato a Cartesio in realtà non c'è: in politica Cartesio non è cartesiano. Il problema di Cartesio è quello di riformare i propri pensieri e non i pensieri di tutti gli altri o il rapporto fra l'opinione di tutti e la vita sociale; le cose della vita sociale, egli insiste, sono solo probabili. Ci sono anche per lui leggi e categorie della politica che resistono alle contestazioni dell'etica e della razionalità. Cartesio rifiuta i precetti più drastici di Machiavelli, soprattutto quelle che consentono anche al potere legittimo tecniche di governo che sono proprie dei tiranni usurpatori e che vincolano troppo strettamente l'arte politica all'arte della guerra. Egli riconosce però, seguendo Machiavelli, che la giustizia tra i sovrani ha natura diversa da quella dei cittadini privati e che la logica di contrapposizione fra amici e nemici costituisce e spiega un insieme molto vasto di fenomeni politici.

La morale provvisoria

La preoccupazione di Cartesio è che il contrasto fra le opinioni comuni della vita sociale e le verità del pensiero non indeboliscano le nostre azioni e non le rendano incerte ed inconcludenti. La ragione ci può rendere irresoluti nel pensiero ma non possiamo permetterci di esserlo troppo nelle nostre attività pratiche; è allora necessario che, mentre si pensa, si riesca comunque a vivere nel mondo così come è e si adattino le nostre azioni alle situazioni concrete. Cartesio elabora a tal fine quel principio che egli chiama della "morale provvisoria", di cui ci si può utilmente valere per orientarci in una realtà politica accettata come non interamente realizzabile. Questa morale provvisoria implica prima di tutto l'obbedienza alle leggi ed ai costumi del proprio paese e, quindi, un'adeguazione più o meno convinta al sistema istituzionale vigente e ai valori sociali più diffusi. Dal razionalismo puro si passa così al probabilismo delle opinioni condivise. I criteri che devono guidare e governare le nostre azioni sono per lui quelli che si avvicinano alle opinioni più moderate; è conveniente in politica adattarsi a ciò che nella realtà è più radicato, più adatto a consolidarsi in istituzioni, più suscettibile di essere praticato. La logica della vita sociale è tale che anche quando scopriamo che una cosa è falsa, dobbiamo fare buon viso a cattivo gioco perché immettere bruscamente un'idea che riteniamo vera in un sistema di cose retto da regole diverse da quelle della verità creerebbe scompaginamenti e squilibri mal governabili. Non avendo il potere di vedere e di conoscere globalmente tutte le connessioni della società, l'individuo deve accettare le connessioni più probabili, diventando disponibili più a cambiare i propri desideri che l'ordine del mondo.
Come si vede, Cartesio non è affatto un rivoluzionario: il suo razionalismo non minaccia l'ordine stabilito ed anzi, attraverso il principio della "morale provvisoria", egli favorisce più la conservazione che il mutamento. Tuttavia la ratifica della effettività non è incondizionata, c'è sempre spazio per altra critica e per altri progressi della ragione e si lascia aperta la possibilità teorica di cercare nuovi equilibri razionali anche nelle cose sociali. Cartesio scioglie empiricamente il dilemma fra le obbligazioni imposte all'uomo dalla sua intelligenza e quelle derivanti dall'esigenza di non rendere inconcludenti le sue azioni; proprio questa soluzione empirica, che ci permette di agire nella società senza essere troppo condizionati dagli assiomi intellettualistici, consente al pensiero di proseguire nella sua costante ricerca di una verità che potrà non essere definitivamente solo verità intellettuale personale perché non le è razionalmente precluso di confrontarsi con i problemi del mondo sociale.

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