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I collezionisti privati dell'800

Intorno agli anni 1840 per la prima volta ci imbattiamo non solo in collezionisti o intenditori isolati, figure eccezionali che operano le loro scelte in rapporto a esperienze artistiche differenziate, ma altresì in un numero ingente di appassionati d’arte che in larga misura sembrano sottrarsi all’influsso determinante esercitato sui loro gusti personali, dai molteplici fattori esterni. Fra tutte le dinastie aristocratiche mercantili che accumularono i loro tesori al tempo della Rivoluzione francese solamente i Baring- famiglia di banchieri - conservarono per parecchie generazioni un interesse sincero e spiccato per la pittura del periodo classico.
Abbiamo innanzi tutto sir Francis fondatore del patrimonio di famiglia: necessitava di quadri coi quali arredare le varie residenze e finì col trovarsi proprietario di una raccolta di scelti olandesi. I suoi figli, Thomas e Alexander, attribuirono ai loro quadri ben atra importanza: il primogenito Thomas, al pari di non pochi suoi contemporanei appartenenti a ogni ceto sociale, svolgeva attività marginale di mercante d’arte e fu così che sconvolse gli appassionati inglesi di pittura quando nel 1814, meno di un anno dopo averla comprata, cedette all’erede al trono di Baviera la Madonna della Tenda di Raffaello, parimenti comprò molti quadri di scuola olandese che andarono ad aggiungersi alla collezione paterna, ma quello stesso anno li rivendette in blocco al principe reggente. Tuttavia compensò queste vendite con la prodigalità dei suoi acquisti di opere pittoriche italiane e spagnole. Quanto al fratello Alexander si diceva che in Inghilterra nessuno più di lui avesse speso somme così ingenti in quadri di pregio molti dei quali acquistati a loro volta attraverso Le Brun anche se in prevalenza di scuola olandese e fiamminga. Tuttavia è solo con la terza generazione di questa famiglia che ci imbattiamo nella figura di un collezionista dalle concezioni affatto ardite e indipendenti, Thomas Baring, figlio di Sir Thomas. Questo accorto banchiere di strepitosa ricchezza dedicò al culto delle arti gran parte della sua vita. Quando nel 1835 diede inizio alle sue acquisizioni, largo effetto ebbe su di lui la pressione esercitata dall’Art Journal e da gran parte della pubblica opinione votata a sostenere a ogni costo la causa della pittura inglese moderna; acquistò in blocco un centinaio di quadri provenienti da una delle più famosi collezioni private. Fu una delle ultime transazioni del genere espletate da un inglese. Due anni dopo Baring comprò, dopo congrua valutazione, quadri francesi, italiani e spagnoli che facevano parte della collezione paterna, morto di recente. Da allora e fino al 1871 non desistette dall’accrescere la propria collezione. I suoi acquisti spaziavano in ogni campo, dal Seicento spagnolo ai primitivi olandesi. Divenne inoltre uno dei più sagaci raccoglitori inglesi Watteau. La mania collezionistica di tre generazioni dei Baring illustra con estrema eloquenza l’argomentazione posta in apertura. Fra il 1840 e il 1850, in Inghilterra come in Francia, il gusto era estremamente mutevole e ricettivo. A differenza di quanto era avvenuto nel passato il gusto non si basava sui principi di sistematica esclusione, al contrario era assai più aperto di quanto fosse mai stato sino allora o di quanto lo sarebbe stato sino a oltre un secolo più tardi. Negli anni successivi al 1850 la creazione di un Club del Collezionista che avrebbe conquistato rapida fama con la denominazione di Burlington Fine Arts Club e si sarebbe distinto nell’organizzazione di una nutrita serie di esposizioni, valse in certo qual modo a confermare formalmente questo nuovo stato di cose. Possiamo tuttavia arguire che tra queste élite di uomini e donne colti e facoltosi si andasse elaborando una nuova concezione del gusto che nelle menti più duttili e meno teoriche si basava su principi più ampi di ogni altro invalso in precedenza.
Erano questi gli anni in cui un eclettismo altamente deprecato presiedeva quale fattore guida all’estrinsecazione dell’espressione artistiche contemporanee. Pietro Selvatico veneratore dei puri trecentisti (Nazareni e Puristi italiani) ha dato copiose lodi al Tiepolo imbarocchito ma nel contempo sottolinea come nel suo atteggiamento non vi sia in realtà alcuna contraddizione. Al pari dei leggiadri artisti trecenteschi l’estroso pittore di affreschi si distingueva per l’intesa espressività spirituale e schietta resa formale. Il fatto che ammiri ad un tempo Tiepolo e i Puristi, mostra che non c’è in lui nessun preconcetto partito di escludere o rinnegare qualsiasi sorta di merito sotto qualsivoglia sistema o scuola; parole queste, che avrebbero potuto essere assunte a manifesto dei molti amatori d’arte decisi a usare i propri occhi anziché ad affidarsi ai luoghi comuni. Sino ad anni ancora recenti l’arte veniva apprezzata o denigrata per categorie, un’intera scuola, un intero secolo, un’intera nazione, erano riabilitati, rifiutati, o ignorati in toto; era allora difficile guardare di punto in bianco a un singolo quadro con occhi nuovi sgombri da pregiudizi.

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