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Newell e elaborazione processi cognitivi per macchina


L’idea di Newell, nella sperimentazione di questa metodologia, fu in particolare quella di registrare un protocollo verbale di un soggetto che risolveva un problema riferendo ad alta voce i procedimenti selettivi della risoluzione e di inserirli nel programma. In questo modo era possibile analizzare parallelamente i procedimenti descritti dalla voce registrata e quelli della macchina, per verificare se ci fosse coincidenza tra processi umani e processi algoritmici.
Ma la cosa più interessante in questo esperimento è che il programma nello svolgere il problema doveva tenere presenti i limiti effettivi del solutore umano (in ordine ai tempi di calcolo, ai limiti di memoria) se voleva restituire un “comportamento” quanto più vicino possibile a quello della psiche umana. Non bastava quindi che la macchina fosse in grado di sostituirsi ad un calcolatore umano, ma essa doveva essere in grado di simulare anche i processi di calcolo umani.
Si capisce allora come non ogni programma poteva risultare soddisfacente sotto il profilo della spiegazione psicologica (spesso infatti sostituiva ma non simulava la psiche umana) e quindi essere considerato un “modello” che restituisse la struttura psichica “naturale”.
A buon diritto quindi Newell e Simon hanno parlato di “microteorie” per indicare un tipo di programma ben definito. Ogni microteoria coincideva grossomodo ad un singolo solutore umano in grado di risolvere specifici problemi.

Tratto da INTELLIGENZA ARTIFICIALE di Carlo Cilia
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