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Anni '90, un industrialismo stanco

Anni '90, un industrialismo stanco

Dal primo decennio del Novecento fino al 1970, l’industria aveva manifestato la continua richiesta di una diffusione di politiche etiche collettive che avrebbero portato a una diffusione e a una distribuzione della ricchezza. Le imprese avevano lo scopo di essere vettori di innovazione e modernità.
È proprio questo che viene meno negli anni ottanta. Gli operai sono stanchi, sopravvivono. Il lavoro di fabbrica ha perso di attrattiva. È un ripiego e non un motivo di orgoglio sociale. L’area del lavoro industriale non riesce a comunicare impulsi positivi all’esterno. Torino è l’emblema di tutto questo.
La concertazione tra governo, confederazioni dei lavoratori e Confindustria rimane l’ultima politica sindacale del secolo.
La Confindustria dal 1983 visse una svolta politica e organizzativa. Nel dicembre 1983 fu varata la riforma Giustino che per la prima volta stabiliva il doppio inquadramento obbligatorio: le aziende iscritte dovevano partecipare alla vita delle organizzazioni verticali e di quelle territoriali. I poteri centrali venivano rafforzati in materia d azione sindacale. Merloni era stato sostituito da Solustri che a sua volta viene sostituito da Lucchini nel maggio 1984. Durante il suo mandato si afferma il principio della centralità dell’impresa come fattore propulsivo per la crescita economica e la modernizzazione sociale del Paese.
Negli anni Novanta, anni di un forte rilancio dell’industria italiana, la Confindustria esce dalla crisi.
Con il progressivo smantellamento del sistema delle partecipazioni statali le aziende rappresentate dall’Intersind persero i loro caratteri distintivi, e nel 1994 le aziende del gruppo IRI confluirono nella Confindustria.
L’Intersind fu sciolta definitivamente nel 1998.
Metamorfosi di fine secolo
Analizzando i risultati delle indagini di Mediobanca e Unioncamere sulla vitalità delle imprese di medie dimensioni (dai 50 ai 499 addetti) Berta sembra più propenso a parlare di metamorfosi economica e produttiva e non ancora di declino industriale dell'Italia.
Infatti è vero che al cambio del secolo l’industria italiana ha attraversato un momento di smarrimento che è stato testimoniato dalla crisi quasi mortale in cui cade la FIAT. È vero che le quote di esportazioni si sono contratte e che il peso dell’Italia nel commercio mondiale è diminuito a partire dal 1995.
Ma è anche vero che c’è stata l’ascesa di un nuovo protagonista industriale, l’impresa di medie dimensioni, il Nordovest. Se l’occupazione non è frenata si deve proprio alle medie imprese. Il futuro è riservato alle "multinazionali tascabili", cioè imprese fortemente internazionalizzate che agiscono entro mercati di nicchia, che sono capaci di attingere alle specifiche dotazioni italiane sia di giovarsi delle possibilità di coordinare produzione e distribuzione offerte dalle nuove tecnologie. È il "quarto capitalismo".


Tratto da L'ITALIA DELLE FABBRICHE di Cristina De Lillo
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