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Il cittadino romano

Il cittadino romano

Il mondo è vuoto dopo i Romani, diceva Rousseau. In qualche maniera i moderni non hanno fatto che perpetuare una nostalgia retrospettiva. La Repubblica romana ha continuato ad affascinare gli storici e a ossessionare l’inconscio collettivo. Fascino del successo, in primo luogo: i suoi legionari, generali, funzionari e coloni, hanno saputo conquistare, pacificare e unificare uno spazio gigantesco, al cui interno la loro impronta ha rappresentato la matrice dell’Europa moderna. Immagine di grandezza di una repubblica imperiale che si riverbera su ciascuno dei suoi cittadini. Ma forse la grandezza i Roma Repubblica non è solo conquistatrice. Essa risiede anche, per i moderni, nel fatto che la storia interna del popolo romano descrive tutte le ipostasi possibili della politica: la nascita di una comunità, la conquista dell’eguaglianza dei diritti da parte del popolo contro i grandi, le rivendicazioni di libertà contro l’oppressione, le grandi questioni sociali: la povertà, i debiti, la legge agraria, i sussidi pubblici. 
Roma offre all’umanità la panoplia completa del cittadino. Ogni romano è cittadino e chiunque possieda o acquisisca diritto di cittadinanza romana è automaticamente romano. Quanto al popolo romano, esso è la totalità estensiva di tutti i cittadini romani; non vi è distinzione, a Roma, all’interno del popolo, tra alcuni che godrebbero del diritto di cittadinanza e altri che ne sarebbero sprovvisti. La città romana è in linea di principio, unitaria. Alle origini della Repubblica c’erano praticamente nel suo territorio solo schiavi (privi di diritti) e uomini liberi (tutti i cittadini). 
Si può notare subito una caratteristica fondamentale della città romana: gli schiavi liberati (liberti) vi penetrano con pieno diritto e godono, di tutti i diritti civili e alcuni politici. Ciò non toglie che questa coincidenza tra popolo e popolazione, tra il corpo civico e l’insieme di coloro che possono dirsi romani, cessi di esistere alla fine del IV secolo a.C., cioè quando Roma parte alla conquista dell’Italia. Portata a termine nel 272 a.C. questa conquista unisce sotto la sovranità di Roma popolazioni di importanza e statuti diversi. Da una parte i Romani (discendenti degli antichi abitanti dell’Urbe) che sono cittadini a pieno diritto; dall’altra gli Italici che, membri dell’alleanza romana sono assimilabili ai romani (per ciò che concerne obblighi militari e fiscali), ma per altri versi se ne distinguono: in primo luogo perché non partecipano alla sovranità (le decisioni comuni sono loro imposte unilateralmente); ma anche per una grande autonomia locale, per i diritti privati e istituzioni diverse da quelle di Roma. Il gruppo dei cittadini con pieno diritto rappresenta dunque solo una parte della popolazione totale. 
Gli italici rappresentano una popolazione almeno uguale a quella dei Romani. La popolazione cittadina non rappresenta che una minoranza in confronto all’insieme dei sudditi di Roma. Durante il II secolo d.C. tuttavia sempre più numerosi furono i peregrini (cioè gli stranieri) naturalizzati: e lo sbocco spettacolare di tale processo fu la famosa costituzione antoniana del 212 d.C. che accordò a tutti gli abitanti dell’impero la cittadinanza romana. Di nuovo, in apparenza, ogni romano era cittadino; ma è evidente che questi termini non possono avere avuto lo stesso significato lungo tutto il cammino di una storia così lunga.

Tratto da L'UOMO NELLA SOCIETÀ ROMANA di Alessia Muliere
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