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La cittadinanza Romanza (civis romanus)


Essere civis romanus era tutt’altra cosa al tempo della guerra Annibalica, all’epoca delle guerre civili, sotto Tiberio o Caracalla. Le differenze tra i vari contesti storici emergono nella sfera specifica della vita civica, quella che dà significato al concetto stesso di cittadinanza: la guerra e l’obbligo militare, la fiscalità (specie le pubbliche elargizioni), le decisioni comuni, il potere e il modo di parteciparvi più o meno diretto da parte di ognuno. Questo insieme assai strutturato di relazioni complesse determina la condizione concreta di esercizio della cittadinanza, la comunanza di destino che unifica il corpo dei cittadini. Tuttavia la cittadinanza, prima di essere un modo di vita è uno status giuridico, uno ius. Si tratta dello ius per eccellenza, quello che applicabile a tutti viene definito ius civile, il diritto dei cittadini; in latino tale termine finì per significar non tanto obblighi o vantaggi politici, quanto il diritto privato e il diritto penale. Il diritto di cittadinanza romana, vuol dire prima di tutto che chi lo possiede vede i suoi rapporti personali, familiari, patrimoniali e commerciali regolati secondo un diritto comune; l’uguaglianza davanti alla legge è il fondamento e lo scopo di quella forma di associazione che è la città. Uguaglianza davanti alla legge non vuol, dire naturalmente che ognuno goda esattamente della stessa condizione e degli stessi diritti: ci sono differenze inevitabili dovuti alla natura o al patrimonio. Lo ius civile non è aequom ius. I vantaggi della vita civica ogni cittadino può constatare quotidianamente e ha diritto di pretendere. Concepita da un’angolazione utilitaristica, la vita civica è insomma un’associazione naturale che al tempo stesso ha qualcosa sia della famiglia, in quanto raggruppa uomini di origine più o meno comune, che della società commerciale, in cui il compito degli apporti e dei benefici di ognuno è la regola ordinaria. Ogni città è di fatto combattuta tra queste due concezioni non facili da conciliare: la solidarietà istintiva derivante da un’origine comune e il puntiglioso egoismo di ogni associato che si arroga quotidianamente il diritto di valutare vantaggi e inconvenienti della sua partecipazione agli affari comuni e che in fin dei conti può sempre riservarsi la possibilità di rompere il contatto attraverso l’emigrazione, la secessione o anche la rivoluzione e la guerra civile che, per mezzo della violenza tende a ristabilire un equilibrio minacciato: visione razionale, in qualche modo giuridica e contabile, del patto fondamentale. Il cittadino in quanto tale è costantemente e a priori debitore sotto tre aspetti principali: deve a tutti prestazioni riguardanti la sua persona, i suoi beni ma anche qualcosa di più immateriale e altrettanto importante: il suo buon senno, i suoi pareri illuminati; aspetti cioè che corrispondono all’obbligo militare, all’obbligo fiscale e alla deliberazione politica e all’esercizio di certe cariche. In breve il cittadino è, per la stessa natura delle cose un soldato che può essere mobilitato, un contribuente, un elettore ed eventualmente anche un candidato a determinate funzioni. Tali doveri riguardano e obbligano tutti i cittadini sin dal momento in cui entrano a far parte della città: quando la loro età lo impone o se sono allogeni proprio in virtù dell’atto stesso attraverso il quale diventano cittadini. Nella Roma repubblicana questi differenti ruoli riguardano allo stesso modo, in linea di massima, tutti i cittadini.

Tratto da L'UOMO NELLA SOCIETÀ ROMANA di Alessia Muliere
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