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La trasformazione della giurisprudenza nell'impero Romano



La sovrapposizione originaria fra esperienza magico-religiosa e diritto che aveva portato a un rafforzamento reciproco delle due funzioni assicurò ai pontefici un dominio che si mantenne ben oltre i primi decenni di vita comunitaria, lungo tutto il periodo etrusco, sino in piena età repubblicana; via via il sapere giuridico sarebbe apparso come la grande e solitaria vocazione intellettuale romana. La connessione fra pronuncia dello ius ed esperienza religiosa aveva cominciato lentamente a cedere insieme col consolidarsi di una dimensione propriamente politica nel funzionamento della società. La legislazione delle XII tavole contribuì di sicuro al primo incrinarsi di questo vincolo. Si sostituiva così un’alleanza, pienamente riconoscibile nel III secolo a.C., fra sapere giuridico e potere politico della nuova aristocrazia patrizio-plebea; dare responsa assume il tratto di un sapere aristocratico, legato all’egemonia della nobilitas patrizio-plebea, uscita dalle lotte del V-IV secolo. La forza del reposnso, la garanzia della sua verità ora non risultavano più dal sovrapporsi a un fondo di religione e sacralità ma si reggevano su un corpo di nozioni e di dottrine interpretative. Non possiamo dire di essere già di fronte a giuristi nel senso moderno della parola, ma sicuramente di una categoria di esperti per i quali la sapienza giuridica e l’attività rispondente possono diventare una vera milizia civile (per usare le parole di Cicerone), il centro di un’intensa e prestigiosa presenza pubblica. Ancora nel III secolo a.C. siamo di fronte a una tradizione orale; la scrittura nelle rare occasioni in cui affiora ella cultura giuridica prima della metà del II secolo è connessa a problemi contingenti la lotta politica. La presenza della scrittura tradisce sempre un intento di divulgazione popolare del sapere giuridico. La rivoluzione scientifica della giurisprudenza romana può dirsi conclusa negli anni di Augusto; i più importanti giuristi divennero consiglieri e consulenti quasi istituzionali dei principi; l’età adrianea vide il momento più felice di questa integrazione.
Ma non è solo il dialogo con il potere imperiale a caratterizzare la vicenda della giurisprudenza; oltre a misurarsi col principe i giuristi discutono anche fra loro. La giurisprudenza arriva a distinguere al suo interno due scuole: la sabinia (tendenza genericamente empirista), proculiana (razionalismo non dogmatico). Negli anni che chiudono il II secolo d.C. la giurisprudenza conosce l’ultima metamorfosi di ruolo e di collocazione della sua lunga storia. La trasformazione si compie nello sfondo di un processo eccezionale: la nascita, sulle rovine del modello imperiale adrianeo, di una vera e propria macchina statale immediatamente burocratica e accentratrice con compiti di direzione e di controllo sociali ed economici sempre più estesi. La nuova configurazione del potere e del governo assorbe completamente l’autonomia dei giuristi che diventano
grandi funzionari dell’amministrazione imperiale.

Tratto da L'UOMO NELLA SOCIETÀ ROMANA di Alessia Muliere
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