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Quadro generale italiano della fase ascendente in ambito europeo


Riflettendo in parte la situazione istituzionale francese, nel caso italiano, la formazione degli atti comunitari a livello nazionale è sempre stata concentrata nelle mani del Governo, pur coinvolgendo marginalmente la partecipazione delle Regioni, in quanto dotate di potestà legislativa già dal 1970, anno della loro istituzione.
A questo proposito, studiando il complesso rapporto medianico tra lo Stato italiano ed il relativo sistema regionale, si riscontra come questa tematica è emersa più insistentemente in contemporanea all’accelerato processo d’integrazione europea; di conseguenza, è ormai consigliabile un’analisi comparata ed interdisciplinare concernente questi due fenomeni, allo scopo di definire un quadro complessivo più chiaro e completo.

Ripercorrendo l’innesto del coordinamento Stato/Regioni, infatti, si nota che la Conferenza Stato/Regioni ha iniziato ad assumere una forte struttura interna in seguito alla legge sulla Presidenza del Consiglio del 1988, nello stesso periodo in cui cadeva la stipulazione dell’Atto Unico Europeo, preparatorio alla stesura del Trattato di Maastricht. Secondariamente, mentre quest’ultimo ha tipizzato come indispensabile una sessione comunitaria Stato/Regioni, quale momento decisionale di raccordo tra i due enti statali rispetto all’Unione Europea, il legislatore statale italiano ha già configurato due “sessioni comunitarie” annuali, in cui la Conferenza Stato/Regioni era chiamata ad esprimere il proprio indirizzo sugli atteggiamenti tenuti dal Governo in sede europea.
Parallelamente, prendendo in considerazione la Legge “La Pergola” dell’anno seguente, si osserva che il suo scopo ultimo è stato quello di strutturare definitivamente la legge comunitaria, legge annuale con cui il Governo italiano è delegato a fissare le modalità di attuazione delle direttive europee, previa decreti legislativi delegati o altri atti amministrativi; da questo momento in poi, inoltre, le stesse Regioni interagiscono, con un proprio parere soggettivo, durante la progettazione parlamentare della suddetta normativa.
La seconda fase rilevante esordisce, nel 1997, con l’entrata in vigore della Legge “Bassanini” e la conseguente riorganizzazione del decentramento amministrativo italiano, implicante un più ampio riesame dell’ordinamento interno, quasi in concomitanza con la stipulazione del Trattato di Amsterdam nel 1998.
Quale primo passo successivo alla riforma del “federalismo amministrativo a Costituzione vigente”, si evidenzia la stesura del Decreto legislativo n.281 del 1997, che ha riordinato il Sistema delle Conferenze e lo ha trasformato in una triade di soggetti istituzionali: la Conferenza Stato/Regioni, la Conferenza Unificata e la Conferenza Stato/Città.
In particolare, sono state riconfermate le due “sessioni comunitarie” annuali della Conferenza Stato/Regioni, già istituite nel 1988, ma, in quest’ambito, puntualizzate nel loro operato, al fine di raccordare le linee della politica nazionale, relative all’elaborazione degli atti comunitari, agli interessi portati avanti dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano.
In secondo luogo, sempre considerando il ruolo della Conferenza Stato/Regioni, è stata attribuita alla Regione la facoltà di formulare un parere preventivo su qualsiasi atto amministrativo statale, a condizione che dia attuazione alle direttive comunitarie entro le circoscritte materie di competenza regionale.
Infine, quale ulteriore conferma del potenziato ruolo istituzionale conferito alla Conferenza Stato/Regioni, il Comitato interministeriale per la gestione dei fondi europei, già precedentemente istituito previa legge infrastatale, è stato raccordato alla Conferenza Stato/Regioni, in modo che anche queste ultime possano intervenire, congiuntamente allo Stato, nell’amministrazione italiana delle risorse comunitarie.
Nel frattempo, prima di dedicarsi alle innovazioni introdotte successivamente, sono menzionabili altre tappe altrettanto indicative, se pur al di fuori del processo di riforma del Sistema delle Conferenze; ad esempio, sia nel Decreto legislativo n.281 del 1997, sia in altri due progetti di legge risalenti al 1996 e al 1998, è stato stabilito che le realtà regionali possono disporre di propri uffici di rappresentanza presso Bruxelles, ufficializzando, in questo modo, una situazione già di fatto.
Tra il 2000 e il 2002, si affaccia, quindi, una terza fase, in cui si incomincia ad istituzionalizzare non più solo il rapporto Stato/Regioni nella Conferenza, ma anche la relazione diretta tra Stato/Regioni, Governo/Regioni e Governo/Parlamento.
Nella legge comunitaria n.422 del 2000 ed in seguito nella legge n.39 del 2002, è stato sancito, ad esempio, l’obbligo per il Governo di trasmettere i progetti degli atti comunitari alle Regioni, ma, per la prima volta, anche al Parlamento, non più quale prerogativa del rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo, ma quale specifico stadio procedurale, affinché entrambi possano esprimere il loro parere.
Inoltre, nel dicembre del 1999, prima che il Governo italiano partecipasse alla Conferenza intergovernativa per la definizione dell’Agenda 2000, piano degli aiuti e dei fondi comunitari dal 2000 al 2006, l’allora Ministro per le Politiche Comunitarie ha organizzato una Conferenza Stato/Regioni a Bruxelles fuori del territorio nazionale; simbolicamente, questo atteggiamento inconsueto ha enfatizzato la volontà del Governo italiano di sottolineare, a livello comunitario, la particolare attenzione rivolta al coinvolgimento del sistema regionale interno.
Arrivando all’ultima fase, è più che ovvia un’attenta analisi della riforma approvata al termine della scorsa legislatura e, dopo un referendum confermativo, entrata in vigore il 14 ottobre 2001, cambiando profondamente il nostro sistema costituzionale.
Prima di tutto, come nel caso dei principi generali del dettato costituzionale, è stato conferito un riconoscimento alla vigenza interna dei vincoli normativi comunitari, quali ulteriori limiti diretti alla potestà legislativa statale e regionale, nelle rispettive materie di competenza; è da notare che non c’è ragione di ritenere legittima una mediazione statale, volta al rispetto di quest’ultimi da parte del legislatore regionale, nonostante in Italia sia ancora fortemente radicata l’idea di uno Stato, fonte di tutto il diritto. Di conseguenza, è logico supporre che oggi i vincoli europei svolgano una funzione di unificazione nello Stato italiano, sempre più caratterizzato da una struttura elasticamente decentrata.
Considerando quanto sopra esposto, inoltre, è facile comprendere in quale misura la partecipazione alle decisioni comunitarie sia diventata sempre più indispensabile alle Regioni, essendo le stesse, al pari dello Stato, i diretti destinatari della normativa europea.
Quest’ipotesi molto realistica, naturalmente, accentuerà il problema della presenza del solo Stato entro l’Unione Europea, non facilmente superabile se si tiene conto dei diversissimi tratti istituzionali e tecnico-giuridici dei singoli Stati membri, di cui ciascuno presenta una specifica e coordinata articolazione pluristituzionale.
A maggior ragione, la necessità di adeguamento del diritto costituzionale interno al rapporto con l’Unione Europea sussiste ancora più radicalmente: se ciò non si verificasse, si creerebbe una volontaria e responsabile contrapposizione all’ordinamento europeo, che inciderebbe su tutti i suoi cittadini.

Analizzando la situazione italiana, nell’ART.117.5 Cost. si è aperta una strada, poiché si riconosce alle Regioni una garanzia costituzionale alla partecipazione alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari; per quanto riguarda la traduzione in termini pratici di questo diritto regionale, la Costituzione rinvia alle modalità stabilite previa legge statale, in parte presente ed in parte futura e, senza dubbio, di piena rilevanza costituzionale per la sua responsabilità a livello strutturale e sistemico.
La presentazione alle Camere del Progetto di Legge "Buttiglione", quale complessa normativa di modifica alla Legge quadro “La Pergola”, è stata la prima tappa governativa, in vista di un adeguamento strutturale-organizzativo; constatando, però, la difficoltà politico-istituzionale riscontrata per la sua approvazione (il disegno di legge è passato alla Camera, ma è ancora in seconda lettura al Senato e, siccome quest’ultimo in questi mesi è occupato con la legge finanziaria, non è chiaro se è e quando sarà riesaminata), il Governo ha stabilito di farne transitare le tematiche essenziali nella Legge “La Loggia”, le cui caratteristiche generali ne favoriscono una più rapida entrata in vigore.
L’ART.5.1 della Legge “La Loggia” rappresenta, quindi, l’unico progetto attuale di esecuzione, che, per certi versi, potenzia il dato costituzionale, mentre per altri ne dà una lettura che lo indebolisce; tuttavia, in linea generale, in questa sede è principalmente rilevante l’individuazione di un saggio meccanismo di attuazione flessibile nel tempo.
L’elemento di rafforzamento consta nel “concorso diretto” delle Regioni (diversamente dalla più limitata “partecipazione” dell’ART.117.5 Cost.), prendendo parte alle delegazioni del Governo, o addirittura potendo presiederle, sia durante l’attività decisionale del Consiglio dei ministri, sia durante i lavori preparatori dei Comitati o gruppi di lavoro del Consiglio e della Commissione europea.
L’elemento di indebolimento, invece, è simbolicamente rappresentato dalla restrizione dell’oggetto della decisione comunitaria alle sole materie di competenza legislativa regionale (ex ART.117.3 Cost. e ART.117.4), diversamente dalla disciplina generica dell’ART.117.5 Cost., in cui si tratta delle “materie di loro competenza”, permettendo eventualmente di estendere la partecipazione regionale anche alle loro rispettive competenze amministrative.
L’elemento di flessibilità, infine, si riscontra nella disciplina delle modalità di attribuzione della delegazione nazionale (la sua formazione, la scelta di quale Presidente delle Regioni sarà presente, il suo funzionamento,…), rinviata agli accordi stipulati in sede di Conferenza Stato/Regioni, quale tipico esempio di Governance; solamente nel caso in cui non sia raggiunta un’intesa, lo Stato potrà decidere a suo piacimento.
In realtà, questo ruolo (quasi di tipo costituzionale) in capo alla Conferenza Stato/Regioni ha un esemplare precedente nell’analoga struttura organizzativa belga : dal 1994, infatti, il Belgio ha perfezionato un accordo interistituzionale tra lo Stato e le Comunità territoriali, allo scopo di gestire, di volta in volta, la formazione delle sua delegazione, la presenza delle Comunità nella stessa e l’individuazione del diverso capo delegazione.
A questo proposito, è ragionevole ricordare a che punto è la stesura di questo accordo interistituzionale presso la Conferenza Stato/Regioni: attualmente, il risultato ottenuto non è particolarmente soddisfacente, limitandosi alla disciplina di aspetti procedurali generici. Questa incompletezza, tuttavia, non deve preoccupare il sistema italiano, dato che la Legge “La Loggia” è in vigore da soltanto quattro mesi e, quale aggravante aggiuntivo, quasi quotidianamente la Conferenza si trova di fronte ad una nuova casistica del rapporto Stato e Regioni da risolvere.
Sommariamente, la bozza del trattato indica la composizione della delegazione italiana ai sensi dell’ART.5, affermando che devono rientrarvi un Ministro competente di settore, un Presidente di Regione (o un suo delegato) ed un rappresentante delle Regioni e delle Province autonome, il che non è una grande novità.
Allo stesso modo, si limita a definire la formazione dei gruppi di lavoro del Consiglio e della Commissione europea, specificando che la delegazione nazionale dovrebbe enumerare al suo interno almeno un esperto del Governo, un rappresentante regionale designato dalle Conferenze ed un rappresentante delle Regioni speciali.
Inoltre, prevede l’istituzione di tavoli tecnici di coordinamento per definire la linea politica italiana nell’ambito europeo, senza, comunque, puntualizzarne le modalità.
Prendendo in esame, infine, l’attuale Progetto di Legge “Buttiglione”, si denota come la novità istituzionale ivi trattata coinvolga soltanto una ristretta porzione della più vasta tematica riguardante l’integrazione europea.
Da un lato, è prevista l’istituzione di un Comitato interministeriale per gli Affari comunitari (CICA), che coinvolgerebbe soltanto i ministri tecnici di settore comunitario, a discapito delle Regioni; nel tentativo di ovviare parzialmente all’esclusione dei livelli di Governo substatali, quindi, il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni è abilitato a parteciparvi, limitatamente alle materie di interesse regionale. Non delegando la designazione di eventuali rappresentanti regionali alla Conferenza Stato/Regioni, tuttavia, si è innescato un immotivato e complesso iter procedurale, alquanto nocivo per le Regioni, poiché, anche se comprende un’ampia parte di Governo, ormai la Conferenza distingue l’interesse regionale da quello comune.
Da un altro punto di vista, quale superamento di un limite strutturale dell’ART.5.1 della Legge “La Loggia”, il Disegno di Legge “Buttiglione” coinvolge, per la prima volta, oltre al Parlamento anche i Consigli regionali; per questo motivo, se diventasse legge, stabilisce che gli atti comunitari dovrebbero essere inviati non solo alle Regioni o alla Conferenza Stato/Regioni, ma anche alla Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali, allo scopo di aprire un dialogo anche verso i legislatori regionali.
Nei casi in cui le materie comunitarie possano incidere su competenze specifiche degli enti territoriali, infine, è sancita anche una possibilità di raccordo con le autonomie locali.
Concludendo, è inevitabile porre l’accento sulla problematicità di una permanente rivisitazione del nostro sistema giuridico, al fine di adeguarsi ad una realtà in continuo mutamento: il processo in atto, infatti, è ancora molto lontano dall’essere completato.

Tratto da LA GOVERNANCE TRA UNIONE EUROPEA E ITALIA di Luisa Agliassa
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