Skip to content

Quadro generale italiano della fase discendente in ambito europeo


Prendendo in esame i rapporti dell’Unione Europea tra gli Stati membri ed i relativi organi d’articolazione territoriale, è doveroso sottolineare quanta incidenza abbia avuto l’appartenenza all’Unione Europea, nell’ambito di un potenziamento costituzionale delle autonomie di Governo; a questo proposito, si è anche parlato di “Diritto comune europeo delle autonomie locali”.
Dopo la Riforma del 2001, due sono gli articoli della Costituzione che si occupano dell’ attuazione del diritto comunitario nelle materie regionali (fase discendente); tuttavia, l’Unione Europea vi rientra un po’ trasversalmente, rispetto alle autonomie territoriali.
Più precisamente, vertono sul tema preso in considerazione l’ART.117.5 riguardo la disciplina dell’attuazione ed esecuzione degli atti comunitari in sede regionale e l’ ART.120.2 Cost., con cui si conferisce il potere sostitutivo in capo al Governo agli organi istituzuionali delle Regioni, delle Province, dei Comuni e delle Città metropolitane, in caso di mancato rispetto della normativa comunitaria.
Queste disposizioni potrebbero essere classificate come “disposizioni costituzionali bilancio”, significando in tal modo che si tratta della costituzionalizzazione di un assetto, già precedentemente raggiunto e configurato a livello legislativo e giurisprudenziale; esse sono frutto della trasposizione in norme costituzionali, in seguito ad un’evoluzione della legislazione statale in materia d’attuazione del diritto comunitario e della dottrina giurisprudenziale della Corte costituzionale.
Questo trasferimento di disciplina non svilisce il significato delle disposizioni costituzionali, anzi è un passo importante che cambia qualitativamente la natura delle norme ordinarie, le stabilizza nell’ordinamento e ne impedisce un regresso, se non nelle forme costituzionalmente previste.
Esaminando a ritroso l’evoluzione dei rapporti Stato/Regione nella fase discendente europea, è opportuno ripercorrere per sommi capi il “Cammino comunitario delle Regioni italiane”.
Passando a trattare la prima tematica, è necessario sottolineare che, sin dall’inizio degli anni Settanta, ogni qualvolta fosse necessario attuare il diritto comunitario previa legge ordinaria o atto amministrativo, prima le Regioni a Statuto speciale ed in seguito anche quelle ordinarie sono state investite della ”specialità comunitaria” (automatica attribuzione di competenze in capo allo Stato con conseguente sottrazione delle stesse alle Regioni, in nome della responsabilità comunitaria statale). Quindi, l’iter procedurale allora intrapreso ha conferito allo Stato facoltà d’intervento in via preventiva, cioè “in prima istanza (ex sentenza n.126 del 1996).
Tuttavia, il d.p.r. n.216 del 1977 ha riconosciuto alle Regioni la possibilità di dare esecuzione in via amministrativa ai regolamenti comunitari nelle materie di loro competenza, pur rimanendo prerogativa dello Stato la funzione uniformante d’indirizzo e coordinamento.
Il cammino dell’attuazione in via legislativa diventa, invece, più difficile, perché è stato caratterizzato da più tappe e, solo con le Riforme Bassanini del 1998, si è consentito alle Regioni ordinarie di dare attuazione al diritto comunitario nelle materie di loro competenza, con proprie leggi e rispettando i principi ricavabili dalle direttive o, eventualmente, dalla legge statale.
Alla vigilia del 2001,  lo Stato dispone anche di una serie di strumenti d’intervento in seconda istanza, in nome della sua responsabilità comunitaria, soltanto nell’ambito delle materie di coinvolgimento europeo e a fronte del mancato o inadeguato adempimento regionale
In particolare, detti poteri sono definiti “sostitutivi”, quando lo Stato opera nei confronti dell’amministrazione regionale inadempiente, facoltà oggi estesa ad altri settori dell’ordinamento; “suppletivi”, quando lo Stato agisce contro legislatore regionale inadempiente, nonostante, negli anni precedenti, la Corte Costituzionale avesse escluso a priori questa eventualità ; “repressivi”, quando lo Stato interviene sia in atti amministrativi regionali sia in leggi regionali in contrasto con il diritto comunitario.
Concludendo, il diritto comunitario ha inciso direttamente sulla ripartizione delle competenze e la possibilità di derogare a norme costituzionali in questo ambito è stata riconosciuta dalla Corte.
Considerando ora le normative di attuazione della Riforma del Titolo V (Legge “La Loggia” e Disegno di Legge “Buttiglione”), è conveniente sottolineare il loro tentativo di ridurre le novità, che la stessa potrebbe realizzare nel complesso del sistema.
In particolare, le innovazioni giuridiche potrebbero realizzare l’abolizione dell’intermediazione statale tra i vincoli introdotti dal diritto comunitario ed il potere normativo regionale, nell’ambito della competenza residuale, lasciando, invece, inalterata la forma di intervento prima vigente nelle competenze concorrenti; comporterebbero, inoltre, l’abolizione del coordinamento statale nelle funzioni amministratrive e quella del potere sostitutivo e suppletivo, conseguente alla limitazione costituzionale del potere legislativo statale alle sole materie dell’ART.117.2 Cost.
Riepilogando, ai sensi dell’ART.125 Cost. si assiste alla scomparsa del controllo preventivo sugli atti amministrativi, mentre l’ART.127 Cost. individua la possibilità di ricorso statale (modificato da preventivo in successivo) contro la legge regionale.

Tratto da LA GOVERNANCE TRA UNIONE EUROPEA E ITALIA di Luisa Agliassa
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.