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La razionalità comunicativa dell'arte degli anni 90


La razionalità comunicativa di una nuova arte contemporanea degli anni Novanta, impregna soprattutto il soggetto fruitivo, piuttosto che non l’oggetto fruibile. La tendenza affermatasi in Europa a partire dai primi anni Novanta e definita come Estetica Relazionale (attraverso pochi scritti concepiti da Bourriaud) definisce un modello particolarmente vitale nell’azione curatoriale, solo apparentemente legata ad uno sviluppo specificatamente regionale. Il XX secolo ha drasticamente ridotto le possibilità di un alternativa teorica alla definizione dell’arte come opera aperta. L’idea di Wiitgeinstein secondo cui non esisterebbe una categoria arte ma solo una famiglia generica di oggetti e attitudini che possono essere regolate dall’arbitrio del catalogatore dello storico, del critico, attraverso definizioni che indicano già un particolare punto di vista; questa pratica ha favorito la crescita di campi speculativi fortemente autonomi, fortemente influenzati da un genere di categoria artistica che si manifesta attraverso la pratica curatotriale piuttosto che non attraverso la funzione letteraria del testo critico; in particolar modo l’estetica relazionale. L’azione politica dell’arte agisce apriori dalla forma dalla volontà di determinare un cambiamento relativo alla funzione e estetica. Questo modello procedurale è facilmente riproducibile ma può scadere nella pura azione sociale o nella ripetizione della forma. Differentemente da altri contenuti logici, quali quelli prettamente stilistici o relazionali, la spaccatura esistente fra arte interessata all’impegno politico e quella che ne è invece per altre ragioni direttamente coinvolta si consuma attraverso separazioni drastiche; non esiste una forma d’arte che sia aliena da un qualsiasi contatto con la sua propria realtà e pertanto col relativo contesto socio-politico. L’azione politica dell’arte agisce apriori dalla forma e sebbene poi si concentri sull’azione non ne è direttamente conseguente; in un certo modo è naturale che l’azione politica dell’arte sia una conseguenza che non tollera nessuna identificazione nell’ambito sociale e vivo dell’esperienza. La duplice vocazione che è nell’arte contemporanea, ovvero quella di poter rappresentare la ridondanza di una autentica specificità regionale in un linguaggio accessibile a tutti, ne hanno fatto una disciplina attraverso la quale gli stati sovrani hanno voluto determinare un proprio peso specifico nel paesaggio della società delle nazioni. Uno stato con una sua forte rappresentatività artistica viene visto e osservato con maggiore attenzione di uno che ne sia sprovvisto. L’arte degli Y.B.As (Young British Artists) è la migliore rappresentazione di una stretta relazione fra potere politico e istituzionale e risorse sovversive; purtroppo bisogna pur affermarlo tutto ciò che viene allestito per contro e con i contributi di un determinato potere è la legittimazione del suo controllo e della sua eventuale lungimiranza. L’idea essenziale che se ne ricava è che un artista una volta inserito in un determinato contesto venga spogliato da ogni protocollo di responsabilità successivamente devoluta di volta in volta all’organizzazione, alla società o al mecenate che ne gestisce il percorso. Il fenomeno evidenzia sempre più il significato di un’arte predisposta a svolgere un ruolo di immagine ad uso e consumo die grandi poteri.

Tratto da LA CURA CRITICA di Alessia Muliere
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