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La liberazione del 1943

La liberazione del 1943


Il 9 settembre 1943, all’alba, gli alleati sbarcarono a Salerno. Lo sbarco fu più difficile del previsto, disseminato da errori strategici e tattici tanto che si pensava di reimbarcare le truppe. Solo dopo ulteriori rinforzi dal mare e dal cielo e dopo l’arrivo dell’Armata britannica che era risalita dalla Sicilia fu possibile completare lo sbarco e assestarsi sulla terra. Ci vollero ben tre settimane per percorrere i km che dividono Salerno da Napoli e ci sarebbero voluti otto mesi per arrivare a Cassino.
Mentre si aspettava l’arrivo degli americani, soldati e civili napoletani dopo l’8 settembre cominciarono ad operare sabotaggi ai danni dei tedeschi. Quest’ultimi risposero con deportazioni ed esecuzioni.Da qui la ribellione dei napoletani contro i tedeschi perché questi razziavano i giovani e deportavano. Quindi la ribellione è stata un atto di difesa e un movimento spontaneo del popolo. I saccheggi erano cominciati prima della caduta del fascismo. Furono momenti durissimi di contrasto con i soldati tedeschi sulle risorse. Quasi tutti i saccheggi seguirono una dinamica simile: i tedeschi aprivano un magazzino e cominciavano a depredare, arrivavano i napoletani e contendevano il bottino ai rapinatori. I tedeschi li affrontavano e cominciava lo scontro. I ragazzi erano tra i principali protagonisti di questi saccheggi che agivano o come avanguardie delle famiglie, perché più agili, più veloci, meno perseguibili dalle truppe di occupazione o giravano autonomamente, come Ernesto Minino (scugnizzo, suo padre era fascista). Ci fu una vera e propria razzia di uomini che dovevano lavorare per i tedeschi. Chi si rifiutava, veniva ucciso. Questo prima delle 4 giornate di Napoli (27 – 30 settembre 1943). Chi poteva scappava e la popolazione dava una mano ai fuggitivi. La solidarietà è ricordata come un atto naturale, semplice che fa parte dell’ordine delle cose. Nessun pensava che fosse un atto eroico. Inoltre sono le donne le maggiori protagoniste e narratrici dell’epopea. Ogni botola, ogni soppalco, ogni soffitta era un nascondiglio pieno di uomini. Per tutto il mese di settembre si attuò una violenza indiscriminata contro la popolazione civile, violenza che è passata sullo sfondo della ricostruzione delle 4 giornate. Si giravano i carri armati e si puntavano i cannoncini verso le abitazioni civili e le strade.Lo spazio simbolico della città è la vera patria da difendere contro l’occupante che la aggredisce e che infrange il tessuto della vita quotidiana, fa razzie di uomini, procurando una ferita insopportabile. Questa interpretazione coincide con l’interpretazione ufficiale: l’idea che i napoletani siano scesi a combattere per le strade per la difesa del focolare, che sono le quattro giornate debbano essere lette come una lotta spontanea contro l’invasore straniero.Le insurrezioni e le ribellioni incominciano perché lo spazio sociale e civile in cui si vive è stato gravemente ferito, perché i vincoli, i legami quotidiani rischiano di spezzarsi, perché è stata inferta un’offesa alla gente.  La tesi negazionista riprende questa idea e quella dello scugnizzo negando l’esistenza stessa dell’insurrezione e definendola una lotta condotta da ragazzi di strada (scugnizzi) contro poche retroguardie tedesche in ritirata, che non avrebbero avuto interesse e intenzione di rispondere alle armi degli insorti con il dovuto ardore. Questa tesi è stata riportata in un volume apertamente di destra. Per la destra, Napoli doveva rimanere una città monarchica e fascista per cui l’insurrezione doveva risultare un’invenzione antifascista. La tesi si fece strada dal dopoguerra.

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