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La violenza sulle donne durante la guerra

La violenza ha cambiato profondamente la vita di queste donne. Le ragazze stuprate rimasero segnate dall’onta subita. Molte andarono incontro ad un destino di solitudine, altre si adattarono a mariti rifiutati dalle giovani sane come vedovi e anziani. Le donne maritate nella disgrazia si ritennero fortunate.
I vincitori, i portatori della democrazia vestono qui i panni dei criminali, prima con il bombardamento inaspettato e inspiegabile con le ragioni militari agli occhi degli abitanti di un piccolo paese dell’Appennino, poi con gli stupratori marocchini. Uno stupore sostituito subito da un indefinibile sgomento, un dolore che non può essere espresso, che diventa silenzioso per lunghi anni e che si esprime non tanto attraverso un rifiuto quanto una distanza consapevole dalla retorica pubblica. L’esperienza ha insegnato che in guerra tutti sono potenziali assassini, che spesso le ragioni si confondono, che le popolazioni dei territori in cui si combatte sono le vere vittime del conflitto. Una constatazione razionale della sofferenza è la frase: “ci hanno trattati come oggetti”. Lo stupro lascia ferite aperte. È un atto che infrange l’integrità della persona, un’umiliazione indimenticabile che peserà sul resto della vita. Per alcune ricordare è ancora impossibile, altre parlano per la prima volta dopo quasi 60 anni. L’onore delle donne è un segno distintivo dell’integrità di tutta la famiglia, di tutta la comunità. Attraverso le donne vengono colpiti anche gli uomini che non hanno saputo difenderle. Non è un caso che, come atto estremo di spregio e umiliazione, si violenti la moglie di fronte al marito, la figlia di fronte al padre. Furono moltissimi gli uomini uccisi perché difendevano le donne. Qui non si tratta solo di onore ma di sofferenza e umiliazione. È probabile che siano state le stesse comunità a rimuovere il ricordo di ciò che era accaduto. La memoria pubblica ha assecondato i sentieri dell’oblio. Nel II dopoguerra di stupri non si è parlato. Parlare delle violenze di massa operate dai marocchini avrebbe significato anche mettere in luce le contraddizioni della guerra, criticare l’operato degli alleati, negare il carattere manicheo del conflitto. Capire il numero delle donne che si subirono lo stupro è difficilissimo, proprio perché nessuno negli anni successivi alla guerra ha mai studiato seriamente il caso, per la situazione degli archivi gravata da divieti vari, perché nella contabilità delle sofferenze e dei danni subiti gli stupri finirono sommersi dalle migliaia di denunce fatte dalla popolazione per recuperare una qualche forma di risarcimento. E ciò ha dato spazio a ricostruzioni negazioniste, come nel recente volume apparso in Francia a opera di uno studioso di storia militare, che intende esaltare le azioni del Corpo di spedizione francese. Il sottotitolo recita Le vittorie dimenticate della Francia. Nel capitolo dedicato al problema degli stupri si allude a una campagna di falsità da parte degli italiani. Si difendono le inflessibilità e la disciplina dell’esercito francese. Si insinua che il Vaticano abbia gonfiato la campagna per un uso antimusulmano, e si accusano i tedeschi di aver amplificato i saccheggi e gli stupri dei marocchini per nascondere i propri. Infine il capitolo si conclude con l’esplicita allusione a una colpevole condotta morale delle donne. I riferimenti documentari sono il libro di Curzio Malaparte La pelle che riporta una lettera del cardinale Tisserant che allude ad un morboso desiderio di esperienza sessuale a carattere esotico da parte delle italiane che poi si sarebbero giustificate pretendendo di essere state violentate. Il numero delle donne stuprate sfuggirà per forza perché il grosso delle violenze avvenne a ridosso dei combattimenti in una sorta di terra di nessuno dove tutto era permesso e nulla sotto controllo.

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