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Il rapporto tra espansione territoriale e conservazione del dominio (1700)


I problemi del rapporto tra espansione territoriale e conservazione del dominio erano già all'ordine del giorno nella tarda antichità, e anche nel 1700 si credeva ancora che le enormi difficoltà che investivano l'impero potessero risolversi, o almeno spiegarsi, nei termini della doppia questione della grandezza e della conservazione. Molti scrittori convenivano sul fatto che una eccessiva estensione territoriale avrebbe prima o poi condannato l'impero. Se una espansione limitata era impossibile, che almeno ci si dedicasse a concentrare le energie del popolo nel migliorare ciò che già aveva. L'espansione attirava sicuramente gravi minacce ma sembrava pure garantire vantaggi incalcolabili, offrendo una valvola di sfogo per le attività militari che miravano alla gloria, evitando così scontri interni. L'espansione era anche un ottimo modo per dirottare nelle nuove terre la crescente massa di mendicanti e criminali che affollava le città d'Europa; in effetti all'inizio tutti i governi d'Europa videro i loro insediamenti d'oltremare come semplici depositi degli scarti della società della madrepatria o, in modo più lungimirante e umano, come luoghi dove gli svantaggiati potessero creare per loro un avvenire altrimenti impossibile in Europa. Nel Settecento le colonie sembrarono sempre più l'unica risposta al crescente numero di insoddisfatti e agitati che ogni società di commercio sembrava produrre. L'alternativa, come diceva Child, era una palla in testa da soldati. Non era raro nemmeno che fossero i dissidenti religiosi ad essere trasferiti ed in Francia, secondo Davenant, fu proprio la mancata creazione di colonie che accogliessero i gruppi dissidenti religiosi a creare le agitazioni.

Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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