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L'immagine della Cina di Quesnay

L'immagine della Cina di Quesnay



Si iniziò a dibattere dunque su come cessare il bellicismo senza mutarlo in involuzione o peggio in ozio e vanità. Aristotele aveva insegnato che un netto cambiamento di cultura, come quello che occorreva per la transizione da espansione a conservazione, e per il mutamento dell'ethos di un intero popolo, era realizzabile solo dall'esterno. Ma porsi fuori di sé era raro, se non impossibile. Il meglio che le monarchie riuscirono a proporre fu una canalizzazione dell'energia bellica in opere non distruttive: le scienze, l'edilizia artistica (vedi l'Escorial di Filippo II).
La sola eccezione alla regola sembrava la Cina perchè la scelta degli imperatori di innalzare una grande muraglia sembrò agli europei la prova che nel mondo esistevano anche sovrani prudenti (Botero). L'illusoria idea della immobilità cinese, diffusa in Europa dopo la metà del 1700, sembrò la refutazione alla credenza largamente condivisa che tutti gli imperi fosssero condannati naturalmente all'estinzione finale. Quesnay, il fisiocratico, indicò nella Cina la riprova che un grande stato potesse durare fino all'eternità se solo fosse capace di trovare i mezzi utili per limitare le ambizioni dei suoi sudditi. Secondo Quesnay, i cinesi avevano compreso che l'obiettivo della natura non era né l'onore, né la ricchezza, ma la prosperità intese come il benessere di tutta la società. Secondo Quesnay la Cina aveva saputo barattare l'espansione militare con la crescita economica permanente, prendendo l'esempio di Cincinnato alla lettera. La Cina infatti aveva individuato nell'agricoltura l'alternativa valida e unica allo stato di guerra. Solo uno stato agricolo poteva mantenere un impero stabile.
E le obiezioni
L'immagine della Cina di Quesnay incontrò forti resistenze, come quelle di Montesquieu e Diderot. Per Gabriel Bonnot de Mably, la Cina  era una società governata dalla più puerile delle cerimonie, abitata dal popolo più disciplinato e meno capace di pensare sulla terra e la cui meritocrazia non rispondeva all'unica domanda valida, se cioè tutto quello che era stato fatto era davvero necessario. La Cina era una tirannide che aveva ottenuto la stabilità a costo della stagnazione politico economica.  Se si voleva evitare la creazione di uno stato stagnante e tirannico, e gli imperi attuali per il loro dinamismo incontrollabile erano destinati al crollo, l'unica soluzione era la creazione di un regime nuovo, e quello che più vi si avvicinava era quello della Province Unite d'Olanda, restie a lanciarsi in guerre senza un diretto vantaggio commerciale e accorte nel limitare gli insediamenti oltremare ad empori commerciali. Dopo il 1776 fu chiaro che l'esempio più calzante erano invece i nuovi Stati Uniti d'AMerica, un impero che avrebbe dovuto essere un insieme di repubbliche sorelle senza interessi di conquista né di espansione.
C'era una risposta ulteriore alla domanda su come trasformare l'espansione in conservazione: sostituire la conquista con il commercio. Ma il commercio non era in grado di rigenerare le strutture interne degli imperi europei e di porre limiti razionali alle loro mire espansionistiche apparentemente incoercibili. È pur vero che dalla metà del Seicento si comprese più diffusamente che il potere non poteva più essere scisso dalla potenza economica e che il futuro degli imperi non consisteva nelle acquisizioni territoriali ma nel commercio e il commercio poggiava non sul controllo della terra, ma del mare. Inghilterra e Olanda furono naturalmente le prime ad entrare in questa ottica. Oliver Goldsmith era convinto che la navigazione fosse l'unico mezzo per un commercio internazionale rapido e la base per una autentica e non volatile ricchezza della nazione, e anche se il suo ottimismo dovette poi rivelarsi infondato, la convinzione che nel mondo moderno la potenza dipendesse dal commercio marittimo si era ben radicata. Persino la Spagna, che aveva gestito la sua imponente flotta sempre e solo in senso difensivo, con Saavedra Fajardo iniziò a parlare di “ampia mobilità della flotta” in senso commerciale.


Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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