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La civitas come fonte dell'Impero


Connesso all'imperium non c'è solo l'ordinamento politico ma anche un modello sociale, incarnato dalla civitas. La civitas è la fonte stessa dell'Impero perchè la città fornisce  sia gli uomini per l'esercito sia la fonte dell'autorità necessaria per mantenere le province una volta che sono state conquistate. La grandezza di una città è misura della grandezza dei suoi governanti. Idee romane che sopravviveranno, a volte riformulate, nel mondo moderno. Dai romani deriva anche il problema della legge. Per i pensatori romani la civitas coincide con la comunità politica romana. Nell'Impero romano cittadino e persona coincidevano e l'identità della civitas dipendeva dalla supremazia della legge. Anchise esorta il nuovo popolo romano a ricordare che il suo compito sarà di reggere i popoli con l'imperium, dare regole alla pace, perdonare i vinti e sconfiggere i ribelli. Giustiniano dice che la maestà imperiale dovrebbe armarsi di leggi e, insieme, perseguire la gloria con le armi. La legge era la grande forgiatrice della vita romana. Essa creò non solo un ordine politico e sociale ma diede anche un fine etico alla comunità. L'imperium diventa una formula giuridica che fondendosi con l'ideale stoico di universalità umana crea la formula di una universale comunità retta dalla stessa legge, la legge comune (la koinòs nòmos di Aristotele) che il principe dirigeva ed esportava. La legge civile, cioè la legge della civitas, era stata creata dalla ragione umana sul fondamento della comprensione della legge naturale, era quindi la legge umana. Coloro che vivevano rispettandola erano dunque “umani”, chi non la rispettava no. Ma poiché in un certo senso creatori della legge erano stati i romani, solo i romani in qualche modo erano umani. Gli esseri umani dunque erano coloro che vivevano entro i confini dell'Impero Romano. Il pensiero sociale e politico dei romani, e quindi quello cristiano, era e rimarrà legato alla semantica del diritto romano. Anche per Cicerone il mondo è diviso tra romani e provinciali, che sono i barbari, incapaci di creare forme politiche o culturali indipendenti. La sua asserzione secondo la quale gli uomini si possono dividere tra coloro la cui natura è il dominio e coloro che sono buoni solo a servire è destinata a esercitare un profondo influsso. La più estrema espressione è alla base di quanto dice lo stesso Cicerone: la teoria aristotelica della schiavitù per natura a cui Cicerone chiaramente allude quando parla di provinciali. I provinciali, i barbari, mancavano delle qualità necessarie per prendere parte alla civitas. Chi non prendeva parte al modo romano e greco di vivere era un emarginato e il suo rapporto con coloro che vivevano nella comunità civile non poteva che essere quello di uno schiavo, che per Cicerone sembra quasi una cosa obbligata.
La civitas per i Romani, tra l'altro, era una cosa assolutamente da esportare e i barbari potevano assumere la civitas, tramite l'atto giuridico della manomissio. Era inevitabile la tensione fra un forte senso di inclusività,derivato dalla speciale importanza assegnata dai Greci alla funzione dela comunità nella vita umana, e la insistenza romana sul fatto che la comunità, per rispondere al fine per cui era stata progettata, doveva in qualche modo comprendere tutti gli uomini in vita. Questa tensione persisterà in tutte le concezioni dell'Impero che l'Europa avrebbe poi rielaborate prima di liquidarle intorno alla metà del Novecento. La civitas doveva realizzare la persona e fin quando si era al di fuori di essa si era meno umani. Se il mondo è fatto di umani, tutto ciò che non è fatto da umani non è mondo. Non è che i Romani non conoscessero il resto del mondo ma questi altri mondi, come quelli cinese, non avevano una identità specifica in quanto comunità o in quanto potenza politica, quindi inevitabilmente sarebbero stati assorbiti prima o poi nell'imperium, il mondo per eccellenza. Su queste basi, almeno de iure, Augusto e i suoi successori erano diventati dominatori del mondo e la lex Rhodia di Antonino Pio legiferò infine che l'imperator era il dominus totius urbis.

Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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