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La questione della priorità di scoperta (1600)


L'argomento delle res nullius, in qualsivoglia forma, doveva essere sostenuto efficacemente contro le colonie rivali anche dalla rivendicazione della priorità della scoperta. Tutte le nazioni rivendicarono in maniere anche particolarmente implausibili la priorità della loro scoperta o accamparono diritti su tutto il continente anche quando il loro effettivo dominio era ridotto ad un paio di colonie scalcinate (come la Compagnia inglese della Virginia per gli inglesi e la colonia francese di Acadia lungo il San Lorenzo, in Canada). La competizione territoriale era soprattutto cartografica e come osservava Malachy Postlethwayt “con carta e inchiostro si è preso la responsabilità di controllare una parte considerevole dei dominions”.
Fiorirono anche forzatissime interpretazioni per dimostratre la priorità di ciascuno sull'altro in merito alla scoperta (il gallese Madoc che fuggì alla guerra civile nel 1170 giugendo nell'attuale Alabama; i Caboto che scoprirono la Florida per conto del re inglese; marinai bretoni all'epoca del re francese Carlo VIII). Ma il problema era non solo la palese assurdità delle teorie quanto la mancanza di una base reale di dominio. Dimostrare la conquista poteva essere tutt'al più un primo passo, ma come disse gelido il re Francesco I: “passare di lì e dare un'occhiata non è un titolo di proprietà”. E nemmeno lo erano i vari padraos portoghesi, le croci, o i vessilli di Colombo.  Price dice ironicamente che se bastasse navigare lungo le coste per poter accampare diritti, i giapponesi avrebbero voglia di prendere l'Inghilterra. Un sarcasmo che nasconde un problema giuridico: perché vi siano dei diritti concreti bisogna esercitare oltre al diritto di proprietà, la sovranità (il dominium). È la presa di possesso a comandare, non certo una donazione papale o una bandierina.
Altri, come Jeremiah Dummer, inficiavano tutto il discorso a monte sostenendo che non c'era cosa scoprire e cosa conquistare perché l'America era già abitata da uomini che godevano del diritto naturale. Per avere un dominio su queste terre, sostenevano, l'unica via era ottenere un atto di acquisto, o di cessione, da parte degli indigeni. Non mancarono ovviamente critiche a questa affermazione, basate soprattutto sul fatto che gli indigeni avevano lasciato incolte o malamente coltivate molte terre e ciò li privava del loro diritto naturale per i motivi esposti prim.
Di solito in realtà gli accordi furono stipulati sono quando inglesi e francesi non riuscivano ad ottenere con la forza le terre. Erano accordi spesso fraudolenti anche per un europeo dell'epoca e giocati soprattutto sul fatto che gli indigeni non avevano alcuna cognizione di proprietà terriera. Il punto, come asseriva Arthur Young nel 1772, non era tanto se gli indigeni fossero lockianamente proprietari o semplici occupanti della terra, quanto il fatto che per loro non vi era alcuna differenza onde per cui contesteranno sempre l'occupazione inglese per quanto questi ultimi lanceranno duemila proclami di legittimità sulla base di un diritto che per gli indigeni è semplicemente incomprensibile. Diventare proprietari con strumenti pacifici era la cosa migliore. Un passo avanti molto importante in questo senso fu nel 1705 la decisione del Consiglio della Corona di votare a favore dei moicani contro i coloni: i moicani sostenevano di essere una nazione sovrana che non poteva essere privata delle sue terre con il pretesto della mancanza di una idea di società civile e di Stato in senso europeo. Una ratifica che entrò anche nel Constitution Act del 1867 e che è tuttora alla base delle relazioni tra il governo canadese e i popoli aborigeni anche se il ripetuto riferirsi alla sovranità, alla protezione e al dominio della corona inglese faceva ben capire che questi riconoscimenti erano limitati.


Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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