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Hume - La libertà e le conseguenze pericolose per la religione e la morale


Secondo Hume è errato cercare di confutare qualche ipotesi mostrando le conseguenze pericolose per la religione e la morale. Per Hume le dottrine della necessità e della libertà non solo si accordano con la morale, ma sono essenziali al suo rafforzamento.

Hume non pretende di aver risolto tutte le obiezioni riguardo a necessità e libertà. Si potrebbe dire che, se le azioni volontarie fossero soggette alla stessa legge di necessità come le operazioni della materia, non vi sarebbe contingenza nell’universo: non vi sarebbe libertà. Mentre agiamo, saremmo nello stesso tempo agiti. L’autore ultimo di tutte le nostre volizioni sarebbe il Creatore.

Le azioni umane, perciò, o non possono essere in alcun modo moralmente disoneste, in quanto procedono da una causa così buona; o, se lo sono devono coinvolgere nella stessa colpa il nostro Creatore, finché si ammette che Egli è la loro causa ultima ed il loro autore.

L’ignoranza o l’impotenza possono essere addotte a pretesto per una creatura così limitata come l’uomo; ma tali imperfezioni non si trovano nel nostro Creatore. Egli ha previsto e ordinato tutte le azioni degli uomini che noi dichiariamo criminose. E dobbiamo dunque concludere o che esse non sono criminose, o che la Divinità, e non l’uomo ne è responsabile. Ma poiché entrambe queste conclusioni sono assurde, segue che la dottrina da cui derivano non è vera.

Quest’obiezione consiste di due parti: primo, se le azioni umane potessero esser fatte risalire, con una catena necessaria, alla Divinità, non potrebbero mai esser criminose, a ragione della sua infinita percezione; secondo, se le azioni fossero criminose, dovremmo revocare l’attributo di perfezione che ascriviamo a Dio e ammettere che Egli è l’autore ultimo di colpe.

La risposta alla prima obiezione pare ovvia e convincente. Secondo alcuni filosofi,
ogni male fisico è una parte essenziale di questo sistema buono e non sarebbe possibile rimuoverlo, nemmeno allo stesso Dio, senza aprire la strada ad un male più grande. Da questa teoria, alcuni filosofi, fra cui gli stoici, hanno derivato un argomento di consolazione per tutte le afflizioni, in quanto hanno inse-gnato ai loro discepoli che i mali da cui erano afflitti erano dei beni per l’universo nel suo insieme.

Tuttavia, sebbene quest’argomento fosse sublime, in pratica fu presto trovato debole e inefficace. Queste larghe vedute possono, per un momento, soddisfare l’immaginazione di un uomo, ma non possono dimorare sempre nella sua mente. Un uomo derubato non penserà che il suo dispiacere per la perdita possa essere diminuito da queste sublimi riflessioni.

La seconda obiezione non ammette una risposta così facile e soddisfacente. Questi sono misteri che per cui la ragione è inadatta: essa cade in difficoltà e contraddizioni a ogni passo che fa su questi argomenti. La filosofia dovrà temere l’indagine su questi sublimi misteri; piuttosto dovrà volgersi verso l’esame della vita comune; qui essa troverà difficoltà sufficiente per impiegare le sue ricerche, senza tuffarsi in un oceano sconfinato di dubbio, incertezza e contraddizione.

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