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Il concilio Laterano V


Il concilio Laterano V si è svolto a Roma dal 3 maggio 1512 al 16 marzo 1517, sotto i pontificati di Giulio II e Leone X. La situazione politica è quella dei maneggi del re di Francia: per assicurare i suoi possedimenti territoriali in Italia, Luigi XII era riuscito infatti a riunire prima a Pisa poi a Milano una piccola assemblea ecclesiastica, qualificata dai partigiani del papa come un conciliabolo. I vescovi spagnoli sostenuti dalla corona si mobilitarono per sostenere la riforma della chiesa. Nel novembre del 1511, riuniti in sinodo a Burgos, i prelati spagnoli preconizzarono una decentralizzazione del potere a vantaggio dei vescovi e ricordarono l’obbligo di riunire il concilio generale della chiesa ogni 5 anni. Il Libellus rivolto a Leone X da due santi e dotti camaldolesi veneziani, Paolo Giustiniani e Vincenzo Quirini, si spinge ben oltre nella denuncia dei mali e nelle proposte per i loro emendamenti. Questi umanisti, spinti da una tardiva vocazione eremitica, conoscevano il mondo della politica e della cultura e potevano formulare un giudizio lucido sulla chiesa: denunciano l’avarizia dei principi, e quindi il pericolo dei loro interventi, e l’ignoranza dei laici. Per istruirli secondo loro, si dovrebbero almeno tradurre in lingua vernacolare gli articoli di fede, le Epistole e i Vangeli: qui si vede già apparire il problema della comprensione della liturgia da parte del popolo, che sarà una delle rivendicazioni protestanti. Il ruolo della funzione pontificia è di essere un esempio di vita e un insegnamento per il resto della Ciesa. Le promozioni episcopali non dovrebbero essere fatte solo in base ai meriti. I cardinali, in luogo di benefici e cariche ecclesiastiche che le loro funzioni non permettono di onorare, potrebbero avere una pensione annua rinnovabile; si potrebbe affidare loro una visita annuale delle differenti diocesi della cristianità. I due monaci insomma, reclamano a favore della vita religiosa una clausura rigorosa, una migliore osservanza e soprattutto la gestione regolare degli organi di governo quali i capitoli generali degli Ordini. Essi vedono la causa dei mali della chiesa proprio nella scarsa celebrazione di riunioni istituzionali quali i concili o sinodi provinciali e diocesani. Tutti i discorsi sulla riforma hanno come tema il ritorno a un ideale perduto; è quanto si legge anche nel discorso di inaugurazione del concilio pronunciato dal generale degli Agostiniani Egidio da Viterbo: causa di corruzione è la ricchezza ecclesiastica, la cui origine risale al momento in cui il cristianesimo, fino ad allora povero e martire, è divenuto una religione ufficiale (con Costan

Tratto da LA RIFORMA PROTESTANTE di Alessia Muliere
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