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Le iniziative di rinnovamento dopo il Concilio di Trento


I padri del concilio tridentino trovarono una situazione che conteneva i presagi di un rinnovamento. Già negli inizi del Cinquecento, nei diversi partiti della riforma, si moltiplicarono nella chiesa cattolica le iniziative particolari e le innovazioni che avrebbero ampiamente ispirato i lavori del concilio. Si possono infatti già distinguere nella “Preriforma” (espressione di August Renaudet), le grandi linee programmatiche del concilio di Trento.

Il rinnovamento meditato dal ritorno alle fonti

Fin dalle prime riunioni, il concilio di Trento rivolge il suo interesse alle fonti ella Rivelazione. La riforma della vita religiosa dell’occidente cristiano poteva essere il risultato soltanto di un ritorno alle fonti del cristianesimo in quanto tale: cioè, non ai teologi o alla teologia, ma alla parola stessa di Cristo, alla verità rivelata della Bibbia che doveva rivivere nelle coscienze degli uomini, liberandola dalle sovrastrutture tradizionali, ripristinandola nella sua forma genuina e nella sua potenza salvatrice. Tale fu il compito della riforma religiosa. Alla quale si lega necessariamente, proprio come all’umanesimo, un momento filologico: ripristinare nella sua purezza e nella sua genuinità il testo biblico. Ma, proprio come nell’umanesimo, il momento filologico è lo strumento di un’esigenza più profonda, quella di ritornare al significato vero e originario della parola divina per farla valere in tutta l’efficacia della sua potenza di rinnovamento.

La riforma del libro e la riforma dell’educazione

La chiesa in tutti i momenti della sua storia, ha incoraggiato l’educazione dei fedeli e dei bambini. Lo sviluppo della stampa ha modificato i mezzi di trasmissione del sapere amplificandone la portata. I riformatori protestanti, in particolare Melantone, precettore della Germania, posero l’accento sulla scuola, l’insegnamento e la conoscenza dei fondamenti della fede, seguendo l’esempio di Erasmo. I Gesuiti presto i grandi maestri dell’educazione cristiana. L’insegnamento del catechismo ha avuto un posto di grande rilievo nella pedagogia. Nello stesso periodo i preti riformatori si cimentavano nel genere della catechesi, seguendo gli interessi e le capacità che li distinguevano. Nel 1558, il nuovo arcivescovo domenicano di Toledo, Bartolomé de Carranza de Miranda, che aveva dato prova del suo zelo in molte occasioni, prima in Inghilterra poi nei Paesi Bassi, scrisse un lungo lavoro da lui chiamato Comentarius sobre el catechismo christiano, adottando la struttura fondamentale dei catechismi: credo, decalogo, sacramenti, padre nostro. Era una sorta di trattato di teologia rivolto ai cattolici che vivevano in ambiente protestante. Quest’opera, accusata di essere erasmiana, promosse un lungo dibattito nella chiesa spagnola e procurò a Carranza un processo di 17 anni che terminò con un nulla di fatto un po’ equivoco. Ciò si doveva al fatto che, fra le istituzioni già in atto prima del concilio di Trento e che in seguito avrebbero orientato la riforma del cattolicesimo verso la controriforma, vi erano l’Inquisizione e l’Indice. Se l’Inquisizione spagnola era nata in altro contesto alla fine del Quattrocento, solo nel 1542 si poterono scorgere, con la creazione di una speciale commissione cardinalizia, i primi fondamenti di ciò ce si sarebbe chiamata Inquisizione romana.
Essa consolidò il suo sviluppo quando il suo membro più influente, il cardinale Carafa, divenne papa col nome di Paolo IV. Fu quest’ultimo ad ordinare nel 1554 la pubblicazione di un catalogo dei libri proibiti.

L’ideale pastorale e le figure dei vescovi riformatori

Prima di Trento alcuni vescovi (es. il francese Guillaume Briconnet, che cercò di mettere in atto una riforma tramite il ritorno ala Bibbia, alla predicazione e alla spiritualità; vediamo Briconnet, vescovo di Meaux, istituire fra le contraddizioni di un ambiente impregnato nella fede nuova – luteranesimo - ciò che sarà presto impregnato nel Concilio di Trento; l’inglese Giovanni Fisher, vescovo di Rochster, una delle più povere diocesi di Inghilterra o l’italiano Giovanni Matteo Giberti, che aveva particolarmente a cuore la formazione dei futuri preti tanto da creare una tipografia nel suo palazzo episcopale) avevano tentato con successo di incarnare l’ideale pastorale che emanava, ad esempio, dai testi patristici e che gli umanisti amavano riprendere; la parabola del buon pastore che dà la vita sua per le sue pecore è motivo topico di quest’ideale.

Tratto da LA RIFORMA PROTESTANTE di Alessia Muliere
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