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Gioacchino Volpe, i poteri dell'Italia comunale


Gioacchino Volpe tracciava i lineamenti essenziali del complesso insieme di rapporti che intercorsero tra città e territorio nella fase della nascita e del consolidarsi del Comune Civitatis, spiegando come il Comune che voleva assicurarsi la propria sussistenza sottometteva in vario modo i feudatari circostanti, facendone dei cittadini, demolendo i castelli, francando le strade al traffico, rendendo possibile ai cittadini l'assorbimento e la tutela di molta parte della ricchezza fondiaria e dando piena libertà alle relazioni economiche tra città e campagna. Secondo Volpe questa lotta col mondo feudale e i procedimenti di acquisto del contado sono fatti dominanti nella storia delle città italiane tra 1100 e 1200 perché solo con tale acquisizione si rende possibile lo sviluppo demografico, economico, costituzionale del Comune e si crea in Italia, e solo in Italia, lo Stato di città, idealmente limitato ma indipendente di fatto.
Questo quadro di Volpe è stato complessivamente confermato e in particolare risultano notevolmente diffusi i patti di fedeltà tra signori territoriali e cittadinanza organizzata in Comune, aventi come oggetto per il signore la difesa della città in caso di guerra, l'obbligo di residenza per una parte dell'anno e il servizio militare in qualità di civis. In altre occasioni le città ricorsero allo strumento del feudo oblato che permetteva al signore di cedere il suo territorio e riprenderlo in cambio di un giuramento di fedeltà al Comune. In altre occasioni il feudo oblato o la concessione beneficiaria vennero utilizzati, a favore della città, da parte dei vescovi, originari titolari dei poteri sul centro abitato, come ad Asti e Tortona, dove i vescovi concedettero ai consoli dei castelli nel contado in riconoscimento della capacità militare del Comune.
In tutti questi casi comunque le formule sono feudali e dichiaratamente, poiché si tratta pur sempre di un servitium militare, anche se sono del tutto inconsueti i soggetti del rapporto vassallatico, individuabili nei consules in quanto rappresentanti della città.

Tratto da LA VALLE D'AGRÒ di Gherardo Fabretti
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