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Il termine "archè": Talete e Anassimene

Aristotele è solito attribuire il concetto di arché ai filosofi presocratici. Nella testimonianza n°12 del testo di Diels, è riportato il passo della “Metafisica” in cui Aristotele parla del pensiero di Talete (Mileto VII – VI secolo a.C.): egli afferma che deve pur esserci una qualche natura prima da cui nascono tutte le cose e che rimane al di là dei processi che intervengono nelle cose stesse. Su quanti siano i principi e su che qualità abbiano, non tutte le opinioni dei presocratici concordano, ma Talete afferma che tale principio è l’acqua e che la terra galleggia su di essa. Per dire “principio”, Aristotele utilizza il termine “arché”, ma non abbiamo elementi sufficienti per concludere che Talete abbia usato questo termine, né per concludere che, qualora lo abbia usato, lo abbia fatto attribuendogli lo stesso significato. È probabile che Talete non volesse ricercare un principio astratto e che questo era piuttosto l’intento di Aristotele che ha quindi adattato il pensiero di Talete alle sue esigenze speculative. Talete comprende semplicemente che la vita è legata all’elemento umido, perché dove non c’è acqua non c’è vita.
Un altro filosofo dell’arché è Anassimene (Mileto, VI secolo – 528/525 a.C.). Probabilmente allievo di Anassimandro, egli riconosce nell’aria il principio degli enti e gli attribuisce i caratteri del principio di Anassimandro: l’illimitatezza e il movimento incessante. Egli vedeva nell’aria anche la forza che anima il mondo: il mondo è come un animale gigantesco che respira e il respiro è la sua vita e la sua anima.

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