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L’organizzazione dello stato con Luigi XIV


Titolare del potere politico era il re e insieme ai suoi ministri, specializzati per funzione, decideva e operava le principali scelte di governo. Questi ministri formavano l’organismo politico più importante del regno che insieme al re decideva degli affari di stato. C’erano poi altri consigli competenti in materia finanziaria e giudiziaria ma con Luigi fu ridimensionato il loro potere. I ministri erano reclutati fra i maitres des requetes= magistarti che avevano ricevuto incarichi o commissioni particolari direttamente dal re, avevano fatto parte della cancellerie presso le corti sovrane (i parlamenti), avevano svolto funzioni, soprattutto nella fase istruttoria di affari di stato ed erano stati relatori presso i consigli. Questi uomini, il nucleo della classe governativa francese, consentirono a Luigi di ridurre i parlamenti alla semplice funzione di registrazione automatica degli editti. Nel rapporto tra centro e periferia la figura dell’intendente provinciale fu lo strumento più efficace di governo per la periferia. Egli svolgeva funzioni di natura giurisdizionale, amministrativa e finanziaria. Queste cariche erano assegnate ai fedelissimi del re, i maitres des requetes. La centralizzazione dello stato e le sue pubbliche istituzioni persino in un’epoca in cui Luigi affermava “lo stato sono io “, dovevano fare i conti con la diversità e le differenze territoriali di norme  e pratiche giuridiche, con la molteplicità di ceti o corpi e giurisdizioni con situazioni e condizioni non omogenee di fronte ad articolazioni del potere pubblico come il fisco. Ogni parlamento, ogni corte sovrana, era padrone della propria giurisprudenza e sia in materia civile che penale fissava le norme da applicare. Gli interessi dei parlamenti si scontravano con il progetto monarchico di riformare l’ordinamento giudiziario. Inoltre di fronte al fisco c’erano situazioni differenti: nei pays d’etat l’autonomia in materia fiscale era assai ampia: ripartizione e riscossione erano affidati a organismi dipendenti dagli stati provinciali. Questi erano i limiti dell’assolutismo. Per quanto riguarda la politica religiosa, Luigi voleva bloccare correnti e movimenti religiosi non aderenti all’ortodossia cattolica; arginare la diffusione dell’eresia protestante; ma anche rafforzare le prerogative statali nei confronti della chiesa di Roma. Verso la metà del XVII secolo ci fu una larga diffusione delle idee di Cornelis Jansen, un vesovo delle fiandre influenzato da Sant’Agostino. Le idee di Giansennio erano quelle di una morale rigorosissima e dell’interiorità dell’individuo come fondamento della religione cristiana. I cenacoli del movimento giansenista furono i due monasteri di Port Royal. Dopo la condanna papale di alcune proposizioni di Giansenio, nel 1664 Luigi XIV ordinò la chiusura di Port Royal. L’atteggiamento della monarchia nei confronti del movimento giansenista fu condizionato dal rapporto tra Luigi e la chiesa di Roma. Il movimento giansenista fu tollerato negli anni 70, nel periodo in cui il conflitto tra Luigi e il papato per il controllo di cariche e benefici ecclesiastici francesi consigliava al sovrano di conservarsi alleata una corrente religiosa in polemica con Roma. Ma negli anni 80 la politica religiosa di Luigi cambiò in senso sempre più autoritario.  Il pericolo era costituito dalla presenza consistente di protestante. Nel 1685 Luigi sostituì l’editto di Nantes con l’editto di Fontaine bleau e obbligò tutti i francesi a osservare e praticare la religione cattolica. Molti ugonotti scelsero la via dell’esilio e fu una perdita anche economica. Anche il movimento giansenista subì una dura repressione all’inizio del 700 però le idee gianseniste si diffusero anche tra i togati, medio basso clero e contribuivano a rafforzare il sentimento di autonomia da Roma (gallicanesimo).

Tratto da LE VIE DELLA MODERNITÀ di Filippo Amelotti
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