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Le pastorali e il corpus Giovanneo

Le pastorali e il corpus Giovanneo 

Negli Atti degli Apostoli, Luca mette in bocca a Paolo la profezia secondo la quale dopo la sua partenza, sedicenti professori cercheranno di insegnare dottrine perverse che rovineranno il messaggio della Chiesa. Fu così che in un ambiente arroventato, fatto di scontri tra missionari giudeocristiani e integralisti paolini, si avvertì l'esigenza di irrigidire l'organizzazione interna delle comunità istituendo una regolare gerarchia imperniata sull'autorità del vescovo assistito da presbiteri e diaconi.
Tra la fine del I secolo e l'inizio del secondo, un ignoto discepolo di Paolo ricorre all'espediente della pseudoepigrafia, facendo circolare a nome di Paolo delle lettere che poi prenderanno il nome di Pastorali: 1 e 2 a Timoteo e la lettera a Tito. Si aggiungono poi le cosiddette Lettere Cattoliche: I e II lettera di Pietro, Lettera di Giacomo e Lettera di Giuda. Da non dimenticare anche la Lettera agli Ebrei.
Nel complesso di queste opere pseudoepigrafe, fa spicco un corpus di scritti di diverso genere collegati tra loro dalla comune attribuzione all'apostolo Giovanni, e anch'esse risalenti alla fine del I secolo – inizio del II. Parliamo della 1, 2 e 3 lettera di Giovanni, del Vangelo e dell'Apocalisse. I rapporti di queste opere non sono facilmente decifrabili ma si può ipotizzare un ambiente cristiano in qualche modo connesso col nome e l'autorità dell'apostolo Giovanni, una parte di tale ambiente che era di tendenza maggiormente giudaizzante rispetto all'altra, di tradizione paolina.
Una tendenza giudaizzante è fortemente visibile nell'Apocalisse, e lo stesso genere escatologico era tipico del giudaismo tra II sec. a.C. E II sec. d.C. Il genere apocalittico era caratterizzato da rivelazioni a mezzo di visioni comunicate da un essere soprannaturale mediatore ad un personaggio umano, e avente per oggetto soprattutto, anche se non esclusivamente, le vicende catastrofiche degli ultimi tempi del mondo.
L'Apocalisse giovannea si conclude col trionfo di Cristo sulle potenze avversarie e l'instaurazione in terra della nuova Gerusalemme. L'opera è scritta in un greco approssimativo e pieno di semitismi e non è di facile interpretazione per i numerosi contenuti simbolici. L'autore delle tre lettere si definisce l'Anziano e riflette una crisi interna alla comunitù e provocata da una parte di essa che nega la realtà della passione di Cristo, ritenuta incompatibile con l'affermazione della sua divinità, il cosiddetto docetismo, che sarà combattuta già nel Vangelo di Giovanni.
Il Vangelo di Giovanni si riferisce al Cristo come il Logos fatto carne. Anche il tono è differente dai sinottici perchè grave, ieratico, da rivelazione iniziatica.Ma l'immagine di Gesù che emerge dal quarto Vangelo è molto diversa da quella dei Sinottici così che la ricerca moderna sul Gesù storico fa distinzione tra il Gesù dei Sinottici e il Gesù di Giovanni, considerando quello di Giovanni il meno storicamente attendibile. La ragione della differenza del vangelo di Giovanni sta non tanto nella sua distanza storica (dato che un frammento di papiro contenente dei brani risale al 130) quanto nella sua natura teologica. Questo Giovanni è certamente un teologo di alto livello, più dei precedenti evangelisti, e non vuole raccontare la vicenda del Gesù storico ma la fede e l'interpretazione della sua persona così come circolavano nella sua comunità, giudaica. Il vangelo di Giovanni non mostra grande interesse né per gli aspetti escatologici né per i contenuti etici della predicazione, punta la sua attenzione sulla riflessione teologica sulla figurà di Gesù divino.

Tratto da LETTERATURA CRISTIANA ANTICA di Gherardo Fabretti
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