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Il rapporto di Bufalino con la religione


Per il Bufalino – lettore la migliore soluzione per allontanare i pensieri è un libro giallo, ma per il Bufalino – scrittore il discorso è confuso, sempre in itinere. E il delitto per eccellenza del Bufalino – scrittore è la Creazione, un mistero in piena luce che rimanda incessantemente il gioco degli interrogativi al proprio indefinibile autore, il Padreterno, il vero fantasma che si nasconde dietro gli irrivelati segreti della narrativa di Bufalino, che su quel modello finisce per plasmare il proprio ruolo di arteice di enigmatiche creazioni letterarie. La letteratura riproduce metaforicamente i dubbi dell'esistenza e lo scrittore si fa di conseguenza doppio dimidiato del Dio burattinaio: come lui vuole vivere latitante e nascosto; come lui intrattiene rapporti contraddittori col proprio mestiere; autoreferenzialmente lo definisce un ossimoro degli ossimori.
L'inutile investigazione è la stessa compiuta dal lettore, che Bufalino costringe a fare i conti con memorie narrative fasulle e visionarie le quali replicano l'inattendibilità della vita stessa dell'uomo, quasi fosse una traveggola di Dio. Per un ennesimo e sempre familiare gioco di specchi, come i personaggi dei romanzi consistono in nient'altro che parole di libri, anche il Dio di Bufalino è sostanzialmente un significante linguistico, dal momento che, secondo lo stesso scrittore, in relazione alla propria produzione complessiva, si deve parlare di rapporto agonistico con la parola Dio, e con l'eventuale presenza, se non con la certissima assenza. Lo sperimenta, in un racconto de L'Uomo invaso, il monaco Basilio. In Diceria, Dio è ridotto ad un gigantesco eufemismo nelle note di padre Vittorio, i cui irrisolvibili interrogatovi sull'Altro incontrano ovviamente quelli sull'Oltre, particolarmente urgenti in un luogo di morte come il sanatorio. Ma nemmeno il nulla è una strada convincente, essendo inutile. L'impossibile scelta è allora tra la posizione recriminatoria senza soluzione che trasforma confusamente l'interlocutore nascosto da giudice a giudicato e un fideismo d'ufficio comunque annegato in un fitto alone d'angoscia.


Tratto da LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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